La Nato e l'arsenale chimico ucraino

di Fabrizio Poggi

Donald Trump, che a detta del coro mediatico a voce unificata sarebbe diventato il 45° presidente USA solo grazie alle manipolazioni elettroniche russe, ha dichiarato di sostenere l'aumento della presenza USA e Nato in Europa orientale. Lo ha riferito il Segretario generale dell'Alleanza, Jens Stoltenberg il quale, incontrandosi con Trump a Washington, ha anzi sottolineato come proprio negli ultimissimi tempi sia percettibile il sensibile accrescimento del numero di militari stranieri in Polonia e nei Paesi baltici, naturalmente, “proporzionale alle rigide azioni della Russia”. L'orientamento “filo-russo” di Trump si è manifestato anche pochi giorni fa, con la sua firma al protocollo di ingresso del Montenegro nella Nato, giudicato a Mosca “in contraddizione con gli interessi del popolo montenegrino e fonte di deterioramento per la stabilità nei Balcani e in Europa”.



D'altronde, Stoltenberg, quasi qualcuno ne dubitasse, ha ribadito che il prossimo vertice dell'Alleanza, il 25 maggio a Bruxelles, cui interverrà lo stesso Trump, sarà in gran parte dedicato ai rapporti con la Russia: inteso, per carità, a ”ridurre la tensione e trovare una via di convivenza comune” con Mosca.


Intanto, sullo sfondo dell'insoddisfazione per il fatto che solo alcuni membri dell'Alleanza abbiano speso il 2% del PIL per la “difesa” nel 2016 (USA, Grecia, Gran Bretagna, Estonia e Polonia), come fissato al vertice Nato del 2014 quale “obiettivo cui tendere”, Trump è tornato a insistere sulla necessità che i membri europei dell'Alleanza aumentino il proprio impegno finanziario. Anche se il governo tedesco aveva smentito quanto scritto dal Sunday Times circa il conto di 375 miliardi di $ presentato da Trump a Angela Merkel nell'incontro a Berlino nel marzo scorso, proprio dopo quel colloquio Trump aveva dichiarato di sostenere in toto l'Alleanza atlantica.


Ora, nota la Tass, nonostante il bilancio totale della Nato (1,65 miliardi $) costituisca appena “una goccia nel mare, rispetto al volume totale delle spese militari dei paesi membri dell'Alleanza (921 miliardi $), quella cifra è comunque superiore al PIL di un paese quale le Seychelles (1,5 miliardi $). Nella pratica, delle due voci di cui si compone il bilancio totale della Nato, militare e civile, la seconda impegna nel 2017 poco più di 250 milioni $. Il bilancio militare include il finanziamento del programma a lungo termine per sicurezza e investimenti (NSIP: Nato Security Investment Program), per una cifra di 695 milioni $, la cui parte principale copre i costi di mantenimento delle strutture di comando. La somma che i paesi membri sono chiamati a stanziare, è data da una formula legata al Prodotto Nazionale Lordo: nel 2016 gli USA hanno coperto circa il 22% delle spese complessive della Nato, la Germania il 14,65%, la Francia il 10,6%, la Gran Bretagna poco meno del 10% e l'Italia più del 8%; Paesi baltici, Albania, Lussemburgo, Slovenia e altri, poco più del 1% ciascuno.


Sul piano operativo, il Pentagono dislocherà presto in Europa un “numero limitato” di nuovissimi cacciabombardieri multifunzione di quinta generazione F-35A “Lightning II”, a bassa intercettabilità, che saranno poi basati stabilmente sul vecchio continente nel 2020.


Inoltre, secondo le Izvestija, nella base aerea Robbins, nel Nevada, il 14 aprile gli yankee hanno sperimentato il lancio dal caccia F-16 della nuova bomba nucleare B61-12, modifica della precedente B-61. Nelle previsioni USA, il nuovo ordigno potrà essere adattato anche a B-2A, B-21, F-15E, F-16C/D, F-16MLU, F-35 e PA-200 e stivato nelle basi europee dal 2020. Cui gli europei non potranno che rispondere “Signorsì”.


Ecco che, appena tre giorni fa, Vladimir Putin si era espresso in modo franco a proposito dei paesi Nato che, di fronte al bombardamento USA sulla Siria, si comportano come quelle “bambole cinesi”, capaci solo muovere la testa avanti e indietro in segno di approvazione agli ordini di Washington, “senza analizzare quanto stia succedendo”.


Se, nello specifico, le parole di Putin erano riferite alla situazione siriana, le questioni europee non sono rimaste comunque assenti dalle esternazioni di Stoltenberg a Washington. A proposito dell'ingresso dell'Ucraina nella Nato, il Segretario ha detto che “tutto dipende dal fatto se Kiev intenda presentare la richiesta di adesione”, dopo di che i paesi membri decideranno se l'Ucraina “soddisfi i necessari requisiti”. Nel frattempo, lo scorso 8 aprile, Petro Porošenko ha ratificato il programma di cooperazione con la Nato per il 2017, che prevede un "ulteriore sviluppo del dialogo politico" e il rafforzamento della capacità di difesa delle forze armate ucraine in conformità con gli standard dell'Alleanza. Tra questi standard, oltre alla ormai triennale dimostrazione dei “necessari requisiti” terroristici contro la popolazione del Donbass, si parla anche della destinazione del non indifferente arsenale chimico ucraino.


Per il primo punto, il leader della Repubblica popolare di Donetsk, Aleksandr Zakhar?enko, ha lanciato l'allarme su un probabile attacco ucraino su larga scala, lungo tutto il fronte del Donbass: secondo i dati raccolti dalla ricognizione della DNR, Kiev si starebbe attivamente preparando all'offensiva a breve scadenza. Zakhar?enko ha anche valutato in circa 30.000 uomini le perdite ucraine dall'inizio dell'aggressione al Donbass. Nonostante ciò, il presidente del Consiglio di sicurezza ed ex primo “presidente ad interim” golpista, Aleksandr Tur?inov, ha dichiarato alla BBC che le forze di Kiev, una volta terminata la cosiddetta “Operazione antiterrorismo” (cioè, l'aggressione al Donbass) dovranno “metro per metro, chilometro dopo chilometro, riducendo al minimo le perdite, avanzare verso est". Gli ha fatto eco il tenente-generale della riserva ed ex vice comandante dello Stato maggiore ucraino Igor Romanenko, il quale ha dichiarato che l'Ucraina, ora che dispone di un “forte e sperimentato esercito”, dovrà cogliere il momento adatto per lanciarsi contro la Russia, anche sfruttando “la sua debolezza, in ragione di fattori internazionali”.


Con riferimento invece alle vicende siriane, Dmitrij Sergeev, su tvzvezda.ru punta il dito sui frequenti carichi di armi che prendono la via del Medio Oriente, imbarcati al porto di Mariupol, uno dei principali dell'Ucraina, controllato dalle truppe di Kiev. Tra quei carichi, un paio di giorni fa, la ricognizione militare della DNR ipotizzava esserci anche un discreto quantitativo di proiettili chimici: non a caso, le operazioni di trasbordo erano sorvegliate da 500 uomini del cosiddetto “battaglione islamico” delle forze ucraine, costituito quasi esclusivamente da tatari del medžlis di Crimea, come confermato dal loro comandante Isa Akaev. Lo stesso Putin, durante il recente incontro con Sergio Mattarella, aveva accennato a molto probabili nuove provocazioni in Siria con l'uso di armi chimiche. Sergeev scrive che, a più riprese, sono circolate voci sull'arsenale chimico ucraino e già sul finire degli anni '90, anche medici militari avevano ipotizzato che casi di infezioni “collettive” registrati in alcune zone del paese potessero esser ricondotti a cattiva conservazione dell'armamento. Più di recente, secondo le milizie della DNR, anche nella zona dell'aeroporto di Donetsk, ripetutamente centro di aspre battaglie tra milizie e battaglioni neonazisti, nel 2015 le truppe di Kiev avevano usato proiettili al fosforo. L'ex deputato ucraino Aleksej Žuravko ha dichiarato che i segni riscontrati sugli abitanti di alcune zone del Donbass in prossimità del fronte recano segni evidenti di proiettili al cloro.

L'Ucraina golpista è decisamente pronta per l'ingresso nella Nato.

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