Il presidente filippino molla Trump per Putin: «Dalla Russia compreremo gas e armi»


di Eugenio Cipolla


L’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump, che con il tempo sembra sempre più essere un’anatra zoppa, e l’ipocrisia dell’Unione Europa, sempre pronta a guardare la pagliuzza e non la trave nel proprio occhio, stanno lentamente spostando gli equilibri geopolitici e i rapporti tra oriente e occidente, favorendo Cina e Russia. L’ultima conquista di Vladimir Putin, ad esempio, è l’eclettico presidente filippino Rodrigo Duterte, il quale, alla vigilia della sua prima visita ufficiale in Russia, nel corso di una lunga intervista alla TASS, ha raccontato i sentimenti che lo animano prima del suo incontro con il presidente russo, toccando anche i temi delle relazioni con Stati Uniti e Unione Europea.

«Stiamo aprendo una nuova pagina nella storia del mio paese – ha affermato – cercando di rafforzare le relazioni con la Federazione Russa». Duterte si è detto convinto che la cooperazione tra i due paesi non debba passare solo attraverso lo scambio di prodotti commerciali, ma ha auspicato che una convergenza degli interessi Russo-cino-filippini. «Stiamo affrontando gli stessi problemi di sicurezza, la lotta contro il terrorismo, contro il traffico di droga e la criminalità transanazionale». Dal punto di vista pratico, le Filippine sono interessate anche una partnership per lo sviluppo dell’industria siderurgica di Manila, perché, ha detto Duterte, «crediamo che aiuterà l’industrializzazione del paese. Stiamo parlando della produzione di attrezzature varie, tra cui aerei e automobili. E vorremmo imparare dall’esperienza russa».



Oltre questo, Duterte si è detto pronto ad aprire le porte del proprio paese alla cooperazione energetica. «Le Filippine importano molto petrolio e gas e la Russia è ricca di queste risorse. Invitiamo la Federazione Russa a investire nel nostro paese, portando da noi le sue aziende, che potrebbero partecipare a una varietà di progetti».

Parlando di future relazioni ed alleanze militari, il presidente filippino non ha risparmiato una stoccata a Trump e all’Unione Europea. «Siamo di fronte a due grande sfide: il terrorismo e la lotta contro la droga, quindi come Filippine abbiamo bisogno di armi. Per mantenere l’equilibrio geopolitico nella regione avevamo ordinato armi dagli USA, ma ci hanno risposto che c’è un problema di diritti umani e dunque ho deciso di non aver più a che fare con loro».

Duterte ha spiegato che persino diversi senatori degli Stati Uniti hanno negato la possibilità di una fornitura di armi, costringendolo a rivolgersi a Cina e Russia, paesi che «capiranno questi problemi, perché anche loro come noi si trovano ad affrontarli». Per questo il leader filippino ritiene che dal suo arrivo alla presidenza le relazione con l’Occidente si siano deteriorate. «L’America, a partire dagli anni 60, ha iniziato a interferire negli affari di altri Stati. Per esempio, offrono assistenza al paese, ma in cambio chiedono l’adozione di alcune leggi (da loro ben viste, ndt). Anche l’UE – ha spiegato – è sempre alla ricerca degli errori altrui. Recentemente hanno ci avevano concesso un contributo di 200 milioni di $ per migliorare la nostra situazione in materia di diritti umani. Ho rifiutato, dicendo che non ne abbiamo bisogno e loro hanno minacciato di rivolgersi alla Corte penale internazionale».

Rivelazioni importanti quelle di Duterte, il quale si dice convinto di non volere avere «relazioni con gli Stati Uniti, voglio che smettano di dirmi cosa fare […] non voglio vedere truppe degli Stati Uniti nel mio paese. Non permetterò che mi trattino come il governatore di una loro colonia. Siamo un paese indipendente, in grado di sopportare la fame. Io voglio solo che il mio paese venga trattato con rispetto». Parole dure che suonano musica nelle orecchie dei russi, chiaramente pronti a strappare agli Stati Uniti un fazzoletto strategico di terra tra Indonesia e Taiwan. Per questo la strada per Duterte appare piuttosto in discesa, anche perché «la Russia vende armi senza alcuna condizione, vende semplicemente, non dice al paese cosa farne». Tutto il contrario che con gli Stati Uniti, dove «è possibile che il presidente è d’accordo, ma il Congresso e il Dipartimento di Stato sollevano problemi sui diritti umani.

E allora mi basterà andare in Russia e spiegare brevemente a Putin che nel mio paese abbiamo problemi con l’Islamic State e con gli estremisti».

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