Contro le mistificazioni dei media e l'ipocrisia della "sinistra imperiale": assemblea pubblica a Roma


ASSEMBLEA PUBBLICA CONTRO L'AGGRESSIONE ALLA RIVOLUZIONE BOLIVARIANA, CONTRO LE MISTIFICAZIONI MEDIATICHE, CONTRO L'IPOCRISIA DELLA "SINISTRA IMPERIALE".




Interviene Geraldina Colotti, giornalista del manifesto.

QUI PER PARTECIPARE
Domani (VENERDì) dalle ore 18:00 alle ore 23:30 ·
Csoa Corto Circuito Via Filippo Serafini, 57, Roma


Lacrimogeni, trappole, torture, spari a bruciapelo...

Da settimane, il Venezuela è sotto i riflettori. I grandi media presentano uno scenario di guerra in un paese allo sbando, tenuto in pugno da una sanguinosa dittatura caraibica che dopo aver affamato il proprio popolo, ora lo reprime quando chiede “libertà”.

Un racconto che “funziona” al punto da sviare persino alcune aree di movimento, impressionate dalle molotov contro i carri armati, anche se a tirarle sono forze di segno opposto: anche se a bruciare sono gli ospedali pubblici, i dispensari gestiti dai medici cubani, i trasporti gratuiti, i piccoli esercizi. Rivolte molto diverse da quelle contro le privatizzazioni e le riforme del lavoro e delle pensioni imposte da Temer in Brasile sul modello di quelle già in voga da queste parti.

Difficile orientarsi a fronte di una informazione a senso unico, che moltiplica la posizione dei media privati venezuelani. Ma se quotidiani come Repubblica o Il fatto, inveterati forcaioli quando si tratta di raccontare le piazze di casa nostra, diventano improvvisi paladini degli incappucciati lanciatori di granate e li celebrano come “pacifici manifestanti”, qualche dubbio deve pur venire. Quando figuri come Casini, Cicchitto e Tajani, diventano paladini dei diritti e Trump viene definito “l'unico difensore del popolo venezuelano”, qualche dubbio dovrebbe venire. Invece no. Anche i morti, uccisi dai paramilitari che vogliono la guerra civile e l'invasione del paese, vengono addebitati al socialismo bolivariano. Un esperimento che ha messo in causa i rapporti di proprietà consentendo a settori tradizionalmente esclusi di aver accesso ai diritti elementari. Un “cattivo” esempio da cancellare in un paese straordinariamente ricco di risorse – petrolio, oro, coltan, ma anche acqua e biodiversità – che i grandi poteri vogliono incamerare.

Ecco il perché di tanto interesse intorno al Venezuela. Ecco perché il Venezuela è diventato un laboratorio di guerra: delle guerre di nuovo tipo, che hanno come centravanti di sfondamento i grandi media internazionali e il loro racconto al contrario, volto a creare un cortocircuito concreto e simbolico che paralizza o svia. Il Venezuela ci riguarda perché nel mirino della “controrivoluzione preventiva”, della guerra di nuovo tipo che azzera la capacità di critica e quella della lotta, ci siamo anche noi. Così come i decreti Minniti e le mille forme del controllo messe in atto oggi contro il conflitto di classe provengono dalla grande paura degli anni '70 provata dalle classi dominanti, così il laboratorio di guerra agito in Venezuela rilancia la “paura del comunismo”, riprende dal punto più alto e insidioso della guerra globale, e ne alza ancora la soglia. Dopo l'invasione dell'Iraq, la distruzione della Libia e la guerra in Siria, adesso tocca al Venezuela.

Adesso, tocca a noi.

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