Grazie leggenda, Roma non dimentica!


28 marzo 1993, Brescia. Tu sedicenne, io da poco compiuto 11 anni. Romanista da sempre tu, romanista da sempre io.

Camminavo a malapena quando ho iniziato ad andare alla stadio. Mano nella mano con papà e nonno. Bandierina, sciarpetta.

Quante sconfitte, umiliazioni prima di quel 28 marzo 1993.

Siamo cresciuti insieme, mio capitano. Oggi ho 35 anni. Una vita di alti e bassi come tutti. Gioie, emozioni, tante delusioni, lutti, sofferenze, sconfitte, umiliazioni, ma poi grandi imprese personali, riscatti. E' la vita. Ma per 25 anni, qualunque cosa mi capitasse, sapevo che ogni domenica tu c'eri ad aspettarmi.

Eri lì, sempre.

Per me e per milioni di altri romani. La tua classe, il tuo genio, il tuo innato e straordinario talento a nostra disposizione. Qualcuno che si pensa più intelligente degli altri dirà che non è possibile, che è ridicolo, che è solo sport. Non capiscono il rapporto tra te e me. Ma io non li ascolto. Una persona che sicuramente è molto più intelligente di loro, il grande intellettuale Eduardo Galeano, ci ha detto che nulla più del calcio, dello sport, può creare quella simbiosi tra le emozioni primordiali che accompagnano la storia stessa dell'uomo.

Ecco, capitano, tu quelle emozioni a milioni di persone l'hai fatte vivere per 25 anni.

28 marzo 1993, Brescia. Tu sedicenne, io ho da poco compiuto 11 anni. L'esordio di un biondino che avrebbe cambiato per sempre il mio rapporto con lo sport, con il tifo, la passione, il calcio.

Caro Capitano, non voglio scrivere nulla sulla tua carriera, ricordare numeri, non mi importa nulla di discutere con quei soloni che non sono nemmeno in grado di ascoltare il più grande di sempre del gioco.

E non mi importa, caro capitano, perché quando si parla di Francesco Totti non è solo calcio, non è solo sport. Per me, per tanti, tantissimi, sei stato molto più di un giocatore, di un professionista, di un ragazzo timido poi divenuto grande uomo.

Per 25 anni, anche se non te ne sei accorto, sei stato l'ultimo brandolo dell'anima di una città che hanno sventrato giorno dopo giorno.

Mentre la laceravano, la umiliavano, la uccidevano, Roma per 25 anni si è aggrappata a te capitano.

I gol, le gesta, le emozioni, le migliaia di volte che ci hai fatto gridare quelle meravigliose due sillabe del tuo nome, l'orgoglio di sentirsi romani quando in ogni angolo della terra conoscevano solo te della nostra città... è troppo limitativo ricordare solo quello capitano.

Tu sei stato molto di più. Hai impersonificato i difetti e i pregi di una città in una simbiosi che poi è divenuta totale. Ti ricordi, capitano, quando ti davano del pigro, indolente, svogliato, lavativo, analfabeta, scansafatiche....? Te lo ricordi? Sono molti di quelli che oggi ti lodano. Quante te ne hanno dette capitano?

Non è un caso, sono le stesse che dicono contro Roma e i romani.

Ma tu, da romano vero, ti sei sempre rialzato. Ogni critica ti ha reso ancora più grande. Hai sfidato scienza e medicina.

"Non puoi giocare il mondiale è impossibile per la medicina", ti hanno detto. Sudore, lacrime, sangue, dedizione, passione, amore per il proprio lavoro. Nel 2006 hai alzato la coppa del mondo. Tutti noi l'abbiamo alzata con te. E' l'indole del romano, sfidare l'impossibile. E quando ci dicono che è impossibile, noi lo rendiamo possibile.

"Sei vecchio, devi smettere", ti dicevano già cinque sei anni fa. Sudore, lacrime, sangue, dedizione, passione, amore per il proprio lavoro. A 40 anni hai sfidato la scienza e sei ancora in straordinarie condizioni di forma.

Mentre la laceravano, la umiliavano, la uccidevano, Roma per 25 anni si è aggrappata a te, capitano. Questa città ha vissuto in simbiosi con te.

Ed è per questo che non voglio ricordare gli abusi, i sopprusi, la gioia immensa indescrivibile viscerale del 17 giugno 2001, i sogni, le aspirazioni, le occasioni perse, i derby, le partite con la Juventus. Nulla. Oggi non ha senso.

28 maggio 2017. 25 stagioni dopo, mi hai detto che sarà l'ultima volta. Una stagione in cui un piccolo uomo ti ha trattato come l'ultimo degli esordienti sarebbe quella per cui noi dovremmo ricordarti. Tu, ultimo brandolo dell'anima sventrata di questa città, non hai detto una parola come sempre: Sudore, lacrime, sangue, dedizione, passione, amore per il proprio lavoro.

Ma io non lo posso accettare.

Sempre quella persona più intelligente di quei soloni che hanno speso inutilimente migliaia e migliaia di parole su di te scriveva: «La storia del calcio è un triste viaggio dal piacere al dovere. A mano a mano che lo sport si è fatto industria, è andato perdendo la bellezza che nasce dall’allegria di giocare per giocare. In questo mondo di fine secolo, il calcio professionistico condanna ciò che è inutile, ed è inutile ciò che non rende. E a nessuno porta guadagno quella follia che rende l’uomo bambino per un attimo, lo fa giocare come gioca il bambino con il palloncino o come gioca il gatto col gomitolo di lana. Il gioco si è trasformato in spettacolo, con molti protagonisti e pochi spettatori, calcio da guardare, e lo spettacolo si è trasformato in uno degli affari più lucrosi del mondo, che non si organizza per giocare ma per impedire che si giochi. La tecnocrazia dello sport professionistico ha imposto un calcio dipura velocità e forza, che rinuncia all’allegria, che atrofizza la fantasia e proibisce il coraggio. Per fortuna appare ancora sui campi di gioco, sia pure molto di rado, qualche sfacciato con la faccia sporca che esce dallo spartito e commette lo sproposito di mettere a sedere tutta la squadra avversaria, l’arbitro e il pubblico delle tribune, per il puro piacere del corpo che si lancia contro l’avventura proibita della libertà». Ecco capitano, hai rifiutato soldi, trofei e fama che ti offrivano quei potenti tecnocrati del Nord italia. Loro pensano di comprare tutto con il denaro. Ma non ti sei fatto comprare, hai scelto l'amore per una città che ormai è divenuta tua. Per questo ti odiano tanto i burattinai di uno sport ormai senza passione, senza allegria. Ed è per questo che per noi sarai per sempre la nostra "avventura proibita della libertà".

Non lo possiamo accettare, capitano. Ogni romanista vero baratterebbe decine di scudetti e trofei per tornare indietro nel tempo. Tornare a quel momento di 25 anni fa in cui il grande Carletto ti dava l'ordine di entrare in campo. Tornare al momento in cui tutto ebbe inizio. Sei stato per noi un condensato di emozioni e orgogli, orgasmi e gioie indescrivibile che nessun trofeo potrà mai compensare.

E per questo io domani, mio Francesco, non riuscirò a vedere il momento in cui ci dirai addio. Non sarò domani all'Olimpico. Non posso accettarlo. Io con il cuore, testa e anima sarò a quel 28 marzo di 25 anni. Nell'utopica illusione che tutto possa avere un nuovo inizio, che la leggenda di Roma non smetta mai di rincorrere quel pallone.

A. B.

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