Jeremy Corbyn infiamma Glastonbury. Accoglienza da rockstar per il leader laburista



di Fabrizio Verde

«Oh Jeremy Corbyn», sulle note di Seven Nation Army, questo è il grido che si leva dalla sterminata folla del festival di Glastonbury (uno dei più importanti a livello mondiale) nella giornata che ha visto il vecchio leone socialista infiammare un pubblico che lo ha accolto alla stregua di una rockstar.

Dopo l’insperata rimonta che ha portato il Labour Party a un passo dal raggiungere i Tories, Jeremy Corbyn sembra avvicinarsi sempre più alla soglia del numero 10 di Downing Street, residenza e ufficio del Primo Ministro del Regno Unito, che potrebbe presto essere lasciata libera dall’attuale inquilina Theresa May alle prese con numeri risicati in Parlamento.

Perché il discorso di Jeremy Corbyn genera tanto entusiasmo? Perché finalmente si opera una rottura totale con quel neoliberismo che ha devastato la società britannica, mortificato la classe operaia, fatto scempio di sanità e istruzione. Corbyn rappresenta inoltre colui che ha definitivamente affossato blairismo, terza via e liberismo temperato.

Nel suo programma lo Stato torna ad avere un ruolo centrale. La parola nazionalizzazione viene sdoganata, non si tratta più di una bestemmia. Come è normale che sia a sinistra. L’uomo viene prima del profitto. Proprio come in quell’America Latina tanto denigrata dai media mainstream.

«I commentatori si sono sbagliati, le élite si sono sbagliate. La politica riguarda la vita di tutti noi e la meravigliosa la campagna elettorale appena trascorsa ha riportato molta gente alla politica perché ha capito che c’era molto da guadagnare», frammento di un discorso che ha infiammato la platea di giovani festanti accorsi a Glastonbury.

Corbyn ha inoltre condannato il razzismo invitando Donald Trump «a costruire ponti e non muri». Lo stesso presidente Usa che ha deciso di tirar fuori il proprio paese dagli Accordi Parigi sul clima. Anche su questo punto il discorso del leader laburista è molto chiaro: «Non possiamo andare avanti distruggendo il pianeta con l’inquinamento, la distruzione degli habitat, l’inquinamento delle nostre città e dei nostri fiumi. C’è un solo pianeta e anche Donald Trump non crede ci sia un altro pianeta su cui vivere. Dobbiamo proteggere il nostro pianeta usando le tecnologie di cui disponiamo, per gestire e controllare le risorse naturali affinché il pianeta sia per le prossime generazioni migliore di quello che è oggi».

Questo avviene nel Regno Unito dove Corbyn è evidentemente entrato in sintonia con il popolo. Un popolo segnato, piegato e finanche depresso, da anni dove i diritti del lavoro si sono affievoliti drammaticamente, anni segnati da privatizzazioni, tagli indiscriminati alla sanità, dal sistematico peggioramento delle condizioni di vita per la classe operaia al pari della cosiddetta middle class.

Il neoliberismo ha mostrato il suo vero volto. In Europa così come aveva fatto in America Latina fino alla soglia del nuovo millennio. «Larga noche neoliberal» la definiscono nell’ex giardino di casa dell’Impero statunitense.

Lo stesso volto tracotante e colmo di arroganza mostrato dall’imprenditore renziano Farinetti, quando la sua narrazione è stata smontata in diretta televisiva dalla ricercatrice Marta Fana.

Intanto in Italia i dirigenti della sinistra si arrovellano intorno al progetto Ulivo 2.0, Pier Luigi Bersani afferma di essere un liberale autentico non un socialista alla Corbyn. Ogni commento sarebbe superfluo, per costoro parla un passato ignobile e l’implementazione nel paese di politiche che sarebbero state accolte con piacere dalla Scuola di Chicago e dalla signora Margaret Thatcher per tornare nel Regno Unito. Ossia le massime istituzioni del neoliberismo trionfante a livello planetario.

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