Arabia Saudita, Indonesia, Israele o Stati Uniti? No. La meta preferita per il "turismo pro diritti civili" resta la Russia



di Omar Minniti


Si ripete il copione. Ieri sono stati fermati e rilasciati dopo poche ore dalla polizia russa cinque attivisti italiani. Si tratta di Flavio Romani, presidente nazionale dell'Arcigay, ed esponenti delle associazioni Antigone ed A Buon Diritto. Si trovavano a Nizhny Novgorod, nella regione del Volga, per un incontro promosso dall'ong "Man and Law" e per un progetto di monitoraggio delle condizioni nelle carceri.


Nel corso della serata la notizia è rimbalzata sulle agenzie, gli organi di stampa ed i social media. E puntuale è partito il coro di condanna contro la "repressione omofobica" del Cremlino. Sul caso si sono attivati immediatamente il consolato generale italiano e la Farnesina. Tra gli interventi allarmati, anche quello di Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana.





Ma l'omofobia non c'entra nulla e stavolta nemmeno la controversa legge sulla propaganda gay tra i minori. Alla base del fermo ci sarebbero problemi legati ai visti d'ingresso della delegazione, irregolari secondo la polizia di Nizhny Novgorod. A nessuno dei cinque è stato contestato alcun reato d'opinione. Come ammette perfino Repubblica, "tutti hanno avuto libertà di comunicazione e sono stati trattati in modo rispettoso". "Sono stati tutti molto gentili, nessuno ci ha torto un capello", ha raccontato al telefono all’Ansa Valentina Calderone, membro del gruppo, al momento del rilascio. "Ci hanno spiegato che il visto in nostro possesso non era corretto e ci è stata comminata una multa di 2mila rubli a testa". Cioè circa 20 euro.


La vicenda dei cinque appare, a prima vista, diversa da quelle che hanno avuto come protagonisti Vladimir Luxuria e Yuri Guaiana. La prima si era fatta fermare durante le Olimpiadi di Sochi, dopo aver protestato contro la legge sulla propaganda tra i minori. Il secondo, invece, si è recato di recente a Mosca per consegnare una petizione sui "campi di sterminio per omosessuali in Cecenia".

Fake news, quest'ultima, smentita anche da una delle più importanti organizzazioni Lgbtq locali, Gayrussia.ru. In ogni caso, anche il fermo di ieri dimostra che prosegue, senza sosta, il "turismo politico" degli attivisti italiani per i diritti civili sul territorio russo. Anzi, potremmo dire che la Russia è la tappa unica ed obbligata di tali viaggi. E che Putin, le cui caricature sono un must in ogni Pride della Penisola, continua ad essere visto come il numero uno dalla componente maggioritaria, liberale e filo-imperialista, del movimento.

Dormono, invece, sonni tranquilli ed indisturbati i governi omofobi di mezzo mondo, dalle petromonarchie decapitatrici di gay del Golfo Persico ai fustigatori indonesiani, passando per i 12 stati federali Usa in cui la "sodomia" è ancora un reato. Ancora attendiamo con ansia di vederli inseriti nell'agenda delle priorità da parte dei nostri paladini dei diritti ad intermittenza.

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