“Autodeterminazione per la Transcarpazia”? Il regime di Kiev teme la "disintegrazione" dell'Ucraina


di Fabrizio Poggi*


Manovre europee dirette e indirette nei confronti di Mosca. Mentre, con il perdurare e l’aggravarsi della crisi, si fa più insistente qualche voce che sollecita l’abolizione delle sanzioni contro la Russia e, dall’altra parte, l’ineffabile Federica Mogherini esulta perché Montenegro, Albania, Norvegia e Ucraina (non membri della UE, ma candidati o aspiranti tali) hanno entusiasticamente aderito alla proroga delle sanzioni UE fino al 15 marzo 2018, il Consiglio d’Europa invita Aleksandr Lukasenko al vertice del cosiddetto “Partenariato orientale”.

Come primo passo, Bruxelles ha eliminato il divieto di ingresso in Europa per quello che i media occidentali continuano a definire “ultimo dittatore d’Europa” e per altri 169 alti funzionari bielorussi. Nonostante che le solite voci baltiche gridino allo scandalo e altre temano che l’invito a Lukasenko possa compromettere la partecipazione dei “più democratici” leader di Georgia, Moldavia e Ucraina, l’ex segretario NATO, Anders Rasmussen, più praticamente, ha osservato che il dialogo con la Bielorussia è vantaggioso per la UE, perché può indebolire l’asse Mosca-Minsk.

E’ chiaro come l’interesse generale sovrasti quello dei singoli membri o di quelli che anelano a divenirlo, foss’anche la beniamina del liberalismo europeo: l’Ucraina golpista. Martedì scorso l’Assemblea parlamentare europea ha bacchettato Kiev per la questione della legge sull’obbligo della lingua ucraina a tutti i livelli di insegnamento, a partire dalla 5° classe, approvata a fine settembre “senza consultazioni coi rappresentanti delle minoranze nazionali in Ucraina” e che dovrebbe entrare in vigore dal prossimo anno scolastico.

Il riferimento alle minoranze nazionali non è, ovviamente, ai russi del Donbass, ma quasi esclusivamente alle minoranze nazionali che vivono nelle regioni occidentali dell’Ucraina e i cui Stati nazionali, d’altronde, non hanno mai levato una voce contro la guerra nel Donbass e l’oppressione, non linguistica, ma fisica, nei confronti delle fortissima minoranza russa. Budapest e i nazionalisti del partito FIDES hanno annunciato che introdurranno sanzioni contro l’Ucraina e si opporranno alla sua “eurointegrazione”, se verrà dimostrato che la legge sulla statalizzazione della lingua ucraina viola l’Accordo di associazione alla UE e in particolare i diritti dei 150.000 ungheresi d’Ucraina.

E’ prevista proprio per oggi, di fronte all’ambasciata ucraina a Budapest, un’iniziativa sul tema “Autodeterminazione per la Transcarpazia”, al che il Ministro degli esteri golpista, Pavel Klimkin, ha scritto su twitter “Budapest appoggia il separatismo?”. Appena un paio di giorni fa, aveva fatto notizia il caso del giornalista ucraino che, a bordo di un aereo delle linee ungheresi WizzAir, in volo da Amburgo a Kiev, aveva insultato la hostess ceca che si era rifiutata di rivolgerglisi in ucraino invece che in inglese. A Kiev soffrono del “complesso da piccolo impero”, nota il sitoVzgljad, in riferimento alle reazioni ucraine sia all’iniziativa in programma a Budapest, sia alle affermazioni del presidente ceco Miloš Zeman, che invitava i golpisti a riconoscere come definitiva la perdita della Crimea.

D’altronde, è assodato che forte preoccupazione per la discriminazione linguistica nei confronti delle minoranze nazionali in Ucraina, sia manifestata non solo da Russia e Ungheria, ma anche (e, in alcuni casi, maggiormente) da Polonia, Romania, Grecia e Bulgaria. Lo scorso 3 ottobre, Budapest e Bucarest si erano accordate per un’azione comune nei confronti delle nuova legge linguistica golpista.

A sua volta, Bratislava intende seguire il percorso dei rapporti bilaterali con Kiev per venire a capo dei problemi della minoranza slovacca in Ucraina. Dopo che alcuni politici ungheresi, a causa della discriminazione linguistica, hanno rifiutato ieri di incontrarlo, Klimkin ha dichiarato che Budapest non interpreta correttamente “l’eurointegrazione dei cittadini ucraini nella UE”, dato che sta “rilasciando ad alcuni di loro passaporti ungheresi”.

Insomma, la situazione sembra giunta a un punto tale che anche alcuni esponenti politici ucraini parlano di pericolo di “disintegrazione” del paese.

Ovviamente, ogni responsabilità vien fatta ricadere sui “separatisti” del Donbass che, con il loro esempio, spingerebbero prima o poi anche altre regioni a staccarsi da Kiev: la concessione dello status speciale al Donbass prevista dagli accordi di Minsk, dichiara l’osservatore militare ucraino Oleg Ždanov, significa “di fatto la federalizzazione dell’Ucraina” e ciò “porterà a una parata delle sovranità” da parte anche di altre regioni. E’ chiaro, sostiene Ždanov nello spirito golpista, che “quanto sta facendo l’Ungheria in Transcarpazia, è un attacco da parte del Cremlino e che, dopo la Novorossija, ci saranno una “Novovengrija” e una “Novoruminija” e via di seguito.

Il leader del Partito Radicale ucraino, Oleg Ljaškò ha dichiarato che “I nostri vicini, ungheresi e rumeni, insieme ai russi, si stanno comportando come sciacalli che si avventano su un leone ferito” ha detto. Le accuse lanciate “contro lo stato ucraino non sono che menzogne e banali manipolazioni. In Ucraina non c’è alcuna angheria linguistica o di altro genere nei confronti delle minoranze nazionali”, ha sentenziato Ljaškò, sicuro che cannonate, razzi, bombe contro la popolazione del Donbass e attentati contro gli esponenti di primo piano delle Repubbliche popolari non costituiscano “angherie”, perché in guerra non si va per il sottile!


*Articolo esce in contemporanea Contropiano e AntiDiplomatico

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