Alberto Negri - Utopie suicide: la secessione senza piano B porta al disastro economico



di Alberto Negri* - Il Sole 24 Ore

Statalisti e secessionisti, dalla Catalogna al Kurdistan iracheno, turco, siriano, non hanno un piano B per uscire dal vicolo cieco in cui si sono cacciati. Scivolano verso la balcanizzazione dell'Unione europea e del Medio Oriente, per altro in atto da decenni, senza riuscire a fermare la corsa delle locomotive che hanno avviato mentre sta fallendo nel sangue e nella distruzione il tentativo di Stato Islamico di jihadisti.


Ci sono dei tratti in comune tra questi fenomeni, uno è quello di volere ignorare le interconnessioni tra le economie e il reale benessere dei cittadini.
Se è vero che Massud Barzani non ha nessun reale appoggio internazionale dopo il voto del referendum sull’indipendenza, lo stato iracheno e il governo sciita hanno mancato clamorosamente in una maggiore redistribuzione della ricchezza petrolifera e del potere politico non solo nei confronti dei curdi ma anche dei sunniti, la minoranza che ha perso il potere dopo la caduta di Saddam nel 2003 ma che continuerà a costituire un problema anche dopo la fine dell’entità territoriale dell'Isis .


La Turchia di Erdogan ha fallito il suo compito di modernizzare lo stato: il presidente turco ha sostituito il kemalismo con l’islam ma non ha fatto nulla per decentrare l’amministrazione statale ereditata dai generali, i veri custodi della repubblica laica e secolarista fondata nel 1923. Anzi con l’ultimo referendum ha concentrato il potere nelle sue mani. Quando si è aperta la prospettiva di un negoziato con i curdi, Erdogan nel 2015 ha fatto saltare il tavolo delle trattative con il capo del Pkk Abdullah Ocalan, nonostante che il suo fedelissimo Hakan Fidan avesse raggiunto un'intesa.


Il governo centrale di Madrid ha avuto diverse occasioni per smussare le tendenze secessioniste che in Catalogna ancora qualche hanno fa erano minoritarie. Al referendum del 2014 andò a votate meno del 40% della popolazione. Ma ogni concessione sull’autonomia finanziaria per questo governo risultava irricevibile, come fosse una mantra intoccabile riscuotere le tasse e dare come contropartita anche dei servizi su base locale.


Gli indipendentisti, che siano catalani o curdi, a loro volta fanno un calcolo sbagliato: sovrastimano la loro capacità di aggirare l’integrazione economica che sta alla base dello sviluppo economico contemporaneo. Gli inglesi si accorgono adesso con la Brexit che hanno perso una leva di condizionamento sul loro più importante mercato: «Riprendiamo il controllo» era lo slogan, riecheggiato poi anche dal sovranista Trump. I modesti risultati sono sotto gli occhi di tutti.


I curdi di Massud Barzani, leader di stampo feudale, vanno diritti verso la rovina economica, non ci vuole uno stratega per constatare che lo stato curdo separato da Baghdad è un’enclave senza via di uscita perché dipende nei trasporti terrestri e per l’esportazione delle sue risorse energetiche dalla Turchia, dall’Iran e da Baghdad, a meno che non negozi un passaggio e un porto franco dogana con il governo di Bashar Assad (cosa che vale anche per i curdi siriani del Rojava).


L’indipendenza curda è possibile ma deve essere accompagnata da buoni rapporti con almeno qualcuno dei suoi vicini altrimenti è un’utopia soffocante e senza sbocco. La verità è che Barzani, in gravi difficoltà interne, sia politiche che economiche, ha puntato sull’indipendenza a ogni costo per restare in sella. Non tutti i curdi lo seguiranno.


Il risultato delle sue mosse dissennate è stato che l’esercito di Baghdad, quasi senza sparare un colpo, ha occupato Kirkuk e i pozzi: così Barzani ha perso circa il 40% del petrolio di cui disponeva.


I catalani se dichiarano l’indipendenza resteranno isolati o nella mani del governo centrale che li sta commissariando. Un sovranità formale ma fuori dall’Unione europea può diventare una perdita ancora maggiore di autonomia e indipendenza. Il loro piano B, in alternativa a un negoziato che per altro Madrid si ostina a non volere concedere, è quello in stile kosovaro: dichiarare l’indipendenza e poi vedere nel corso del tempo chi la vuole riconoscere. È un modello accettabile? Forse ma il Kosovo è diventato indipendente dopo un decennio di guerre balcaniche, l’intervento internazionale della Nato nel 1999 e migliaia di morti. Non è un precedente confortante. Come non lo è per il governo di Madrid immaginare di avere nei prossimi anni una Catalogna inferocita e destabilizzata.


Jalal Talabani, morto il 3 ottobre, ex presidente iracheno, strenuo combattente curdo sin dall’adolescenza, qualche anno fa di fronte alle prospettive di un’indipendenza del Kurdistan fu molto chiaro: «Non è più tempo di piccole patrie ma di grandi unioni». E forse anche di utopie suicide.


* Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore

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