Arabia Saudita, il peggio arriva adesso

In Arabia Saudita continua il conflitto interno e l’aggressività nei confronti degli avversari regionali. Negli ultimi giorni abbiamo assistito a ore molto intense.



Il giovane principe ereditario Mohammad Bin Salman ha ordinato decine di arresti eccellenti (tra principi, ministri e funzionari) con l’accusa di corruzione. I principi sono stati rinchiusi nei loro palazzi dorati e gli uomini d’affari nel lussuoso Ritz-Carlton di Riyadh, ma l’idea è dimostrare ai giovani sauditi, la base di consenso a cui punta il principe, che anche i potenti possano pagare è che nessuno è al di sopra della legge. Nelle stesse ore, un elicottero con a bordo otto alti funzionari tra cui il principe Mansour Bin Muqrin, figlio di un ex erede al trono, è precipitato per cause non chiarite causando la morte dei passeggeri.

Poco prima, il primo ministro libanese Saad Hariri – leader politico filo-sunnita alleato della Casa di Saud – ha annunciato le proprie dimissioni attraverso un messaggio televisivo in diretta da Riyadh, rivelando di temere che Hezbollah e Iran vogliano attentare alla sua incolumità. Sempre nella stessa giornata, un missile balistico Burkan 2 lanciato dalle aree controllate dalle milizie Huthi in Yemen – paese con cui il regno è in guerra dal 2015 – e stato intercettato e distrutto da un missile Patriot nei pressi dell’aeroporto della capitale saudita. L’Arabia Saudita ha accusato direttamente l'Iran di aver messo in atto un'aggressione militare nei suoi confronti fornendo missili ai ribelli filo-sciiti dello Yemen, Il Ministro degli Esteri di Riyadh ha parlato di “atto di guerra” mentre Muhammad Bin Salman, il grande protagonista dell’aggressione saudita nei confronti dello Yemen e leader di facto del regno, ha dichiarato che la fornitura di missili di questo tipo agli Huthi da parte degli iraniani può “costituire un atto di guerra”.

Per capire cosa sta succedendo e il perché di tanta assertività e nervosismo bisogna calarsi nelle particolarità della monarchia saudita. Dalla morte del fondatore del Regno Abdulaziz ibn Saud nel 1953, la successione al trono è sempre avvenuta di fratello in fratello invece che di padre in figlio come si potrebbe immaginare. Questo ha consentito di gestire lo Stato dando spazio a tutti i rami della famiglia. Re Salman ha sconvolto questi equilibrio e nominato come primo discendente il figlio Mohammed. La partita però non è ancora chiusa. Il nuovo Re sarà scelto dal Consiglio di Fedeltà, composto dai 28 altissimi principi discendenti diretti di Abdulaziz ibn Saud. Mohammed Bin Salman dovrà affrontare un’opposizione durissima e non può escludere che venga perpetrato un colpo di mano contro di lui.

Ecco perché ha neutralizzato la Guarda Nazionale (espressione armata della parte più conservatrice) e sta continuando a ripulire la scena e centralizzare il potere mentre cerca di personalizzare e rafforzare il suo consenso nelle giovani generazioni vestendo tutto ciò di lotta alla corruzione e promettendo un ritorno all’Islam moderato e riforme come il “diritto di guida” per le donne. Oltre a questo poi, ci sono le promesse del piano Vision 2030 per dare una risposta alla popolazione del regno riformandone profondamente l’economia liberandola dalla dipendenza dal petrolio e proiettandola verso il futuro. Impresa molto ambiziosa.

Anche in politica estera la personalizzazione del più giovane Ministro della Difesa del mondo è sempre più esplicita e portata avanti in maniera assertiva. In questo caso però capire l’azione politica del futuro sovrano è più semplice: a muovere tutto è un’aperta ostilità nei confronti dell’Iran. Dopo il fallimento del tentativo di rovesciare Bashar al-Assad con una guerra per procura in Siria e dopo essersi impantanati direttamente nella guerra in Yemen, i sauditi hanno dovuto assistere all’espansione dell’influenza iraniana in Libano, Siria e Iraq e al consolidarsi del rapporto dell’Iran anche con gli Huthi in quello Yemen da sempre considerato il giardino di casa, e adesso si sentono assediati.

Ora Muhammad Bin Salman tenta di recuperare il terreno perduto, muovendosi con spregiudicatezza in virtù dell’intesa personale con Donald Trump e dell’alleanza informale con Israele, entrambi uniti contro le attività della Repubblica Islamica. È soprattutto con Israele che l’Arabia Saudita sta trovando una comunione di intenti, con entrambi i paesi terrorizzati dal consolidamento della Mezzaluna Sciita, un rischio considerato vitale tanto da Riyadh quanto da Tel Aviv.

Il risultato immediato del nuovo corso saudita in politica estera è quindi l’ulteriore destabilizzazione di una regione già estremamente polarizzata e frammentata sia attraverso i confini nazionali che quelli tribali. Particolare attenzione bisogna avere per la decisione saudita di far rassegnare le dimissioni al primo ministro Saad Hariri, che riapre l’ennesima crisi politica del paese dei cedri, i cui esiti sono al momento ancora incerti. Il rischio di scatenare un’altra guerra tra gli Hezbollah e Israele è concreto, un conflitto che infiammerebbe tutti i conflitti della regione facendo saltare i pochi equilibri regionali rimasti e ridefinendo tutte le alleanze e le strategie geopolitiche, favorendo la diffusione di nuovi e ancor più pericolosi conflitti. Molte risposte sul futuro del Medio Oriente arriveranno dall’Arabia Saudita, lo storico conflitto tra la Repubblica Islamica dell’Iran e il Regno della Casa di Saud è più vivo e bollente che mai.


Federico Bosco

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