Armi chimiche contro il Donbass?


di Fabrizio Poggi

Ci sarà una “adeguata reazione” dei “governi democratici” per l'uso di armi chimiche da parte dell'ennesimo “stato canaglia”? Si leverà il coro “di sdegno” dell'Occidente libero a chiedere la “necessaria risposta” all'impiego di armi proibite contro donne e bambini da parte di un governo dittatoriale e a imporre che il suo presidente si faccia da parte? La risposta è a dir poco retorica, dato che la domanda è come minimo stupida, trattandosi della junta neonazista ucraina.


Si dirà che l'accusa è tutta da provare e quindi occorrerà molto tempo per raccogliere prove, testimonianze, filmati. Occorrerà molto più tempo di altre volte: sicuramente, sul campo, non ci saranno stati i “meritori” caschi bianchi che, telecamere alla mano, avranno ripreso gli effetti sulla popolazione del Donbass dell'uso di proiettili chimici da parte delle truppe di Kiev...


Certo, in altre occasioni si è sorvolato su tali dettagli: la risposta doveva esser pronta e d'effetto; le prove e le testimonianze potevano aspettare. Anche in questo caso, c'è appena la testimonianza di un reduce delle Forze operative speciali (SSO) di Kiev, tal Aleksandr Medinskij che, rifugiato in Finlandia, denuncia il fatto. Forse un po' poco. Ma, in altre occasioni, è bastato molto, molto meno per far scattare la “reazione adeguata” dell'Occidente “sdegnato”. Anzi, l'uso di armi chimiche lo si è dato per acquisito mentre i cacciabombardieri erano già sulla pista di rullaggio.


Medinskij si rivolge con un video direttamente a Donald Trump e, affermando di ritenere gli USA “inflessibili combattenti contro la diffusione delle sostanze tossiche e l'uso delle armi chimiche”, sottolinea come sia stata fulminea la reazione statunitense al caso Skripal (dimesso sabato scorso dall'ospedale) e alle voci non confermate sull'attacco chimico a Douma. Medinskij, che si dice pronto a testimoniare di fronte a CIA, FBI e NSA, racconta nel video di come, nell'estate 2015, le SSO avessero confiscato un laboratorio chimico appartenente al battaglione “Donbass” e come in seguito Kiev ne avesse utilizzate le sostanze nel conflitto. L'ex militare ucraino afferma anche che nelle SSO sussiste la tacita dottrina sull'uso di sostanze tossiche e la “licenza” al loro utilizzo contro le milizie del Donbass.


La domanda che si poneva all'inizio, oltreché stupida, giunge dunque anche in ritardo di almeno tre anni. Per un verso, nel caso specifico, non si tratta affatto di uno “stato canaglia”, bensì di una “legittima” junta composta da “rispettabilissimi” nazisti messi al proprio posto da USA e UE e con cui le autorità istituzionali dei più democratici paesi (Italia in testa) sono ansiose di stringere accordi. Per un altro verso, la domanda è tardiva: di solito, la “adeguata reazione” giunge mentre i comuni mortali si stanno ancora chiedendo come sia possibile lavare con l'acqua del rubinetto gli effetti di un attacco chimico, come fosse salsedine dopo una tonica nuotata in mare; ora, trascorsi tre anni, dove sarebbe l'effetto sorpresa? D'altronde, alla “epopea” di majdan e all'aggressione contro il Donbass, si tributano premi cinematografici. Perché rovinare la soddisfazione?

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