Sergei Loznitsa, a Cannes trionfa la propaganda Nato contro il Donbass

di Fabrizio Poggi*

Un uomo ucciso e una donna ferita nel villaggio di Zajtsevo, da oltre una settimana sottoposta ai bombardamenti ucraini. La situazione nell'area di Gorlovka (pare che le truppe golpiste, in barba alle convenzioni internazionali, abbiano fatto uso di proiettili che rilasciano enormi quantità di chiodi) si fa sempre più critica, tanto che il comando delle milizie della DNR ha disposto il rafforzamento delle posizioni, con il dislocamento del battaglione “Somalia”, un tempo guidato dal comandante Mikhajl "Givi" Tolstykh, ucciso in un attentato nel febbraio 2017. Oltre a Gorlovka, a nord di Donetsk, colpiti duramente i centri di Golmovskij e Trudovskie; più a sud, dalla direttrice di Mariupol, bersagliati Kominternovo, Leninskoe e Petrovskoe. Chiaro il tentativo ucraino di accerchiare la capitale della DNR.


A partire dalla scorsa settimana, dapprima le forze ucraine hanno martellato Zajtsevo, per poi tentare di occupare il rione Nikitovsij di Gorlovka, colpito ripetutamente e infine, per le gravi perdite loro inflitte dalle dalle milizie popolari, hanno ripiegato sui bombardamenti. Una delle strade centrali di Zajtsevo, con le abitazioni civili, è letteralmente scomparsa dalla carta del villaggio. Dalla Germania, giungono avvertimenti su una possibile offensiva ucraina su larga scala per inizio giugno, alla vigilia dei mondiali di calcio in Russia e in coincidenza con le manovre NATO ai confini russi, cui prenderanno parte circa 18.000 uomini di 19 paesi. Già ora Kiev sta facendo affluire verso il Donbass, nell'indifferenza del OSCE, artiglieria pesante, in violazione degli accordi di Minsk, che ne prevedono l'arretramento da 10 a 50 km dalla linea di demarcazione.


Appena due giorni fa, nel villaggio di Troitskoe, una trentina di km a ovest di Al?evsk, nella LNR, padre, madre e figlio tredicenne erano rimasti sotto le macerie della propria abitazione, centrata da un ordigno ucraino e solo il figlio maggiore ne era uscito ferito. Come sempre, le agenzie ucraine avevano incolpato le milizie che, a detta di Kiev, altro non farebbero che bombardare la propria stessa popolazione. Il comando militare della DNR ha dato ieri notizia di due miliziani uccisi e altri due feriti.


Questa è l'aggressione ucraina al Donbass, che dura da quattro anni nell'indifferenza del “mondo libero” e a cui la sezione “Un certain regard” del festival di Cannes tributa il proprio omaggio, con la palma per la regia data all'ucraino Sergei Loznitsa, per “Donbass”. Nessuna meraviglia: non hanno forse assegnato la vittoria all'israeliana Netta Barzilai, al Eurovision Song Contest, nei giorni del massacro di Gaza?

Del conflitto nel sudest ucraino, dell'aggressione alle Repubbliche popolari di Lugansk e di Donetsk non c'è ormai traccia nei “notiziari” occidentali. Difficile trovare due righe, anche seminascoste tra le giaculatorie per il “martire” liberale Navalnyj, sui civili ammazzati dalle bombe ucraine. Ma ecco che, se è Kiev a dirigere l'orchestra, allora è d'obbligo premiarne la narrazione. Senza aver visto il film per intero, ma solo alcuni spezzoni dei vari episodi e memori delle perle della precedente “fatica” di Lozitsa, “Majdan”, non dubitiamo che il finanziamento del film da parte della junta nazista di Kiev abbia costituito un buon viatico per la palma di Cannes.

C'è da scommettere che pioveranno le assicurazioni di critici “imparziali”, ansiosi di premiare “l'arte per l'arte”, senza riguardo all'impostazione data dal regista. Ma, siamo inguaribili comunisti e, come non crediamo alla liberale “democrazia pura”, favola di un mondo senza classi, così non accettiamo che si possa parlare di arte al servizio del puro estetismo e, da irrecuperabili vetero, ci rammentiamo degli striscioni che campeggiavano fuori delle esposizioni artistiche in URSS e che recitavano (anche se, purtroppo, era ormai pura formalità) “L'arte appartiene al popolo”. In questo caso, appartiene alla junta e ai coproduttori esteri del film: Germania, Olanda, Romania e Francia.


Strutturato come un insieme di sketch, “Kinopoisk” azzarda il paragone tra il lavoro di Lozitsa e “Il fantasma della libertà” di Buñuel e anche se il regista dichiara di aver voluto girare un film contro la guerra, guarda caso la “tragicommedia” mette alla gogna e sberleffa la popolazione e le milizie del Donbass. “Meduza.io” scrive che le scene di cadaveri straziati all'interno di un tram possano apparire reali o meno, o addirittura surreali, allo spettatore: già, come se non ricordassimo le immagini dello scempio, purtroppo autentico, di corpi nell'autobus colpito da una mina ucraina a Volnovakha. La scena dell'improbabile corrispondente tedesco che nega i bombardamenti ucraini e che il miliziano cosacco accusa di essere un fascista, o, se non lo è, comunque è di sicuro il nipote di un nazista, sembra girata apposta per ridicolizzare i comandi avvinazzati delle milizie, sullo sfondo di decadenza sociale e ladrocini che, secondo Lozitsa, caratterizzerebbero l'odierno Donbass. Anche il matrimonio tra la quasi-gogoliana Angela Tikhonova Kuperdjagina e tal Ivan Pavlovi? Jai?nitsa (Frittata) non è che uno scherno delle genti del Donbass, presentate, al pari delle milizie, come “non persone”, mentalmente ritardate e perennemente ubriache. Ancora una volta, poca meraviglia, dato che appena un mese fa, in un'intervista a The Guardian, Lozitsa aveva definito i russi persone incivili, con intelletto e mentalità criminali.

Ed è così che gli appelli rivolti ripetutamente, a partire dal 2014, dalla popolazione del Donbas all'esercito ucraino e alla comunità internazionale, in cui si denunciavano privazioni, distruzioni e morti nella regione, sono presentati nel film in forma grottesca. Al contrario, il reduce del battaglione nazista "Donbass", tornato nella città natale per curarsi dopo la sconfitta a Ilovajsk, è mostrato quale "martire ucraino", mentre è definita barbara la parvenza di linciaggio – solo qualche escoriazione - del militare ucraino da parte degli abitanti di una città bombardata. “Donbass non è una regione” ha detto Loznitsa, “ma un concetto e questo è divenuto possibile perché là i rapporti criminali sono norma di vita”: c'è da aggiungere qualcosa? Oppure è il caso di ricordare le fosse comuni coi resti dei civili torturati e assassinati nei primi mesi di guerra dai nazisti di battaglioni come “Donbass”, “Azov”, Ajdar”, così cari al romanticismo di Repubblica?

E se l'italico “quotidiano comunista”, una settimana fa, scriveva che “A un certo punto nel film non sappiamo chi siano i buoni e i cattivi”, beh, non rimane che augurargli buona compagnia con le “democrazie” liberali, così buone da aver preparato, nel febbraio 2014 – lo si apprende ora dall'ex comandante delle forze del Ministero dell'interno ucraino, Stanislav Šuljak – per l'ex presidente Viktor Janukovi? la stessa sorte riservata a Gheddafi, allorché duemila attivisti di majdan, con armi automatiche, già circondavano la sua residenza di “Mezhigore”. Il 22 febbraio Janukovi? era volato a Kharkov, da dove, anzi, secondo la testimonianza dell'ex governatore Mikhail Dobkin, si sarebbe accordato telefonicamente con il capo di “Pravyj sektor”, Dmitro Jarosh, affinché i suoi squadristi non assaltassero la residenza, in cui si trovavano ancora moltissimi uomini dell'apparato presidenziale. Poi, solo l'intervento delle SpetsNaz russe era riuscito a prelevarlo, già sulla costa della Crimea e sottrarlo alla sorte per lui destinata dalle forze – in particolare Polonia, Lituania, Commissione Europea – direttamente coinvolte nel colpo di stato. Vorremmo dire: noi stiamo coi cattivi!


*Articolo esce in contemporanea con Contropiano

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