Quando una bella campagna di artisti per i morti e i profughi creati dalla Nato?



di Fabrizio Verde

Marketing puro. Ormai a questo si è ridotta la politica. L’ennesima conferma ci giunge dall’ultimo Gay Pride che si è svolto a Milano. In questa occasione, infatti, tra i partecipanti c’era addirittura il Consolato milanese degli Stati Uniti d’America con tanto di striscione ‘rainbow’.

Un’operazione del genere ha un nome ben preciso: rainbow washing.

Leggiamo da Wikipedia: «Rainbow washing è una parola formata dalla crasi tra "rainbow", arcobaleno, e "whitewashing", imbiancare o nascondere. Questa parola rappresenta una forma più specifica del pinkwashing, identificando un'attività sociale o di marketing indirizzata a presentare una realtà come gay-friendly allo scopo di aumentarne il consenso presso il pubblico. Si differenzia dal pinkwashing per il fatto che il termine pinkwashing viene utilizzato in senso più ampio: si parla infatti di pinkwashing non solo per identificare tecniche sociali o di marketing che fanno leva sulla presentazione di eventi gay-friendly ma, più in generale, tale termine, può essere riferito anche a tutte quelle tecniche comunicative che promuovono realtà (apparentemente) a favore dell'emancipazione femminile, sempre allo scopo di aumentarne il consenso a livello sociale».

L’operazione ha una ratio inequivocabile: gli Stati Uniti d’America attraverso il sostegno a diritti civili sacrosanti, e che spesso non vengono rispettati all’interno del paese, cercano di ripulirsi le mani sporche di sangue.

I conflitti, le sanzioni, e gli embarghi che gli USA (sempre coadiuvati dai vassalli europei) impongono a quegli Stati che non si piegano ai dettami di Washington, che non adattano le proprie politiche agli interessi strategici e geopolitici dell’Impero, producono nefaste conseguenze per le popolazioni investite. Morti reali, sangue vivo che scorre.

La lista è lunga: dalla Siria, all’Ucraina, passando per il Venezuela e da ultimo il Nicaragua. Senza dimenticare conflitti storici come l’Afghanistan e l’Iraq.

Lo striscione portato alla manifestazione milanese, ci riporta alla mente, in maniera inquietante, la copertina di una nota rivista musicale. E con essa l’appello di artisti e intellighenzia liberal-liberista che troppe volte in questi anni ha taciuto, quando non apertamente sostenuto, le guerre imperiali che hanno provocato tanti lutti nel mondo.

Torniamo al punto di partenza: pinkwashing. Un tentativo, maldestro, di ripulirsi la coscienza.

Ogni riferimento alla campagna di Rolling Stones con una serie di artisti che non hanno mai speso una parola per denunciare tutto questo è voluto.

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