Turchia: Erdogan ha due carte da giocare



di Fabrizio Verde

«Prima che sia troppo tardi, Washington deve rinunciare alla falsa idea che la nostra relazione possa essere asimmetrica e fare i conti con il fatto che la Turchia ha delle alternative», questo è quanto scritto due giorni fa dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan, in un editoriale apparso sul ‘New york Times’.

Dell’alternativa a cui allude il sultano di Ankara vi abbiamo scritto in questo articolo - ‘Da BRICS a BRICST: Erdogan chiede l'ingresso della Turchia nel blocco’ - dove abbiamo riportato le parole di Erdogan, che in un’intervista al quotidiano Hurrieyt affermava di voler entrare a dar parte a pieno titolo del blocco BRICS, suggerendo anche la nuova denominazione, ovvero BRICST.

Eravamo alla fine di luglio. Poi la situazione economica della Turchia è precipitata con l’attacco alla Lira che ha portato alla forte svalutazione della moneta nazionale. Penalizzata da una bilancia commerciale sbilanciata e zavorrata da debiti in valuta straniera.

Gli altri fondamentali dell’economia di Ankara, come confermano i dati resi noti da Milano Finanza, sono paradossalmente buoni. Questo è quanto scrive il quotidiano economico: «Il problema, ancora una volta, non sono state le finanze pubbliche in disordine: il deficit annuo non è mai andato sopra il 2,9% del pil, percentuale che sarebbe raggiunta solo quest’anno dopo essere stata sempre intorno al 2,3% sin dal 2012, mentre addirittura l’anno prima si era sfiorato il pareggio di bilancio. Anche il debito pubblico di Ankara è sempre rimasto a livelli ultra rassicuranti, secondo gli standard previsti dal Fiscal Compact: è stato ridotto costantemente a partire dal 2009, quando era pari al 43,8% del pil, per arrivare al 27,8% di quest’anno.

Il ritmo di crescita del pil turco è stato paragonabile solo a quello della Cina: +8,5% nel 2010, +11.1% nel 2011, +4,9% nel 2012, +8,5% nel 2013, +5,2% nel 2014, +6% nel 2015, +3,2% nel 2016, +7% nel 2017, +4,1% quest’anno. La enorme differenza con la Cina è stata rappresentata daI conti esteri, strutturalmente negativi: il saldo della bilancia dei pagamenti correnti è sempre stata passiva sin dal 2002. Negli anni della crisi la situazione è continuamente peggiorata: il picco negativo fu toccato nel 2011, quando il saldo fu di -74,4 miliardi di dollari, pari al -8,9% del pil. Nonostante il miglioramento di circa un punto di pil annuo realizzato da allora fino al 2015, quando i valori si assestarono rispettivamente a – 32,1 miliardi di dollari, pari -3,7% del pil, successivamente si è verificato un nuovo trend di peggioramento, con il risultato negativo previsto per quest’anno in -49,1 miliardi di dollari, corrispondenti al -5,4% del pil. In totale, tra il 2008 e quest’anno, il saldo negativo della bilancia dei pagamenti correnti è stato di 486 miliardi di dollari, accumulando anno dopo anno una percentuale sul pil pari al 57%».

Le tensioni crescenti con Washington, con gli USA sempre più intenzionati a mettere un freno all’alleato divenuto ormai scomodo e decisamente fuori controllo, hanno poi portato Donald Trump ad annunciare nuovi dazi su acciaio e alluminio, oltre a sanzioni contro alti dirigenti di Ankara.

Adesso Erdogan ha due carte da giocarsi in questa partita divenuta cruciale anche per le sorti dell’intero Medio Oriente: l’uscita dalla NATO e i 3 milioni di migranti attualmente fermi su territorio turco in virtù dell’accordo stipulato tra Unione Europea e Turchia.

Un’eventuale uscita dalla NATO decisa da Erdogan lascerebbe decisamente scoperta l’area a cavallo tra Occidente e Oriente. Con l’Italia che a questo punto andrebbe ad essere l’avamposto NATO in Medio Oriente. Un bel grattacapo per il governo che si auto-definisce del cambiamento.

Lasciando invece passare i migranti, che andrebbero a riversarsi sui paesi nordeuropei, Erdogan, andrebbe a mettere in seria difficoltà quei governi che già sono fortemente incalzati dalle cosiddette forze populiste.

In tal caso, le elezioni europee del 2019 potrebbero riservare davvero grosse sorprese.

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