"Se fosse stato per loro, l’Isis e i jihadisti avrebbero fatto colazione sulle rovine di Damasco": gli intellettuali italiani non ne azzeccano una in politica estera


di Alberto Negri - TPI

Gli intellettuali italiani, che sciorinano da anni editoriali su Corsera, Repubblica e Stampa si pentono di avere votato i grillini e si accorgono che il Pd ha spianato loro la strada. Ora si svegliano improvvisamente e spalancano gli occhioni come sonnambuli. Ma loro in questi anni dov’erano?

Diciamo che per quanto riguarda la politica estera sono degli incompetenti: hanno appoggiato tutte le più devastanti imprese degli americani, compresa la guerra in Iraq nel 2003, e i raid in Libia nel 2011. Sono dei sonnambuli veri e propri, con movimenti e gestualità complesse ma senza averne assolutamente coscienza.

I nostri intellettuali, affetti da questo benigno e innocente disturbo, hanno una caratteristica fondamentale: non ci beccano mai.

Pur non sapendo nulla di Siria, in cui mai hanno messo piede, si sono accodati per anni alla cantilena occidentale e delle monarchie assolutistiche del Golfo: “Bashar Assad se ne deve andare”. Salvo poi ammettere che la Russia di Putin era diventata un attore di primo piano in Medio Oriente e accettare che Assad resti dov’è.

Se fosse stato per loro, l’Isis e i jihadisti avrebbero fatto colazione sulle rovine di Damasco: non si sono neppure accorti che i pasdaran iraniani e le milizie sciite hanno fermato il Califfato a settanta chilometri da Baghdad, prima che gli americani decidessero di fare la guerra ai jihadisti.

Si dicono portatori della cultura cristiana e occidentale. Evitano persino di ammettere, ma forse non lo sanno neppure, che i cristiani in Siria sono stati salvati dalle milizie sciite libanesi Hezbollah, le quali naturalmente sono da considerare dei “terroristi”. Prima lo erano anche i talebani ma da quando hanno avviato trattative con Washington sono diventati la “guerriglia”.

Devo dire che sulla Siria o l’Iraq brillava negativamente anche la nostra diplomazia, per lo meno quella ufficiale, perché nei corridoi i diplomatici più informati e accorti avevano idee diverse e più realistiche, così come le hanno sull’Iran: soltanto che non possono esprimerle perché sarebbero immediatamente tacciati di anti-americanismo e persino di anti-semitismo.

I nostri diplomatici scrivono dalle loro sedi ottimi rapporti ma nessuno li legge. E non sia mai che i loro resoconti, basati sui fatti, non coincidano con la versione ufficiale della storia: vengono emarginati e messi da parte.


Gli intellettuali del nostro Paese, che dovrebbero in qualche modo sostenere la discussione di idee un po’ diverse rispetto a quelle ortodosse, andate persino contro il nostro interesse nazionale come in Libia, se ne stanno di solito muti e allineati sulle posizioni atlantiste senza osare andare oltre.


Hanno cattedre universitarie e spazi sulla stampa che non devono essere messi in discussione: forse, a furia di battere ribattere, ci credono pure nelle loro balzane idee sul mondo. Il che è anche peggio della malafede, proprio non vogliono sforzarsi.




Sull’Iran poi danno la massima prova di asservimento perché Teheran è considerato il nemico numero uno non solo degli Usa ma anche di Israele e delle monarchie petrolifere. C’è da augurarsi che Francia e Germania non si accodino alla conferenza anti-Iran voluta dagli Stati Uniti che comincia oggi in Polonia perché l’Italia è già pronta a inchinarsi a Washington.


Cosa faremo se un giorno gli Usa ci chiedessero le basi per bombardare l’Iran? Sarebbe questo un buon argomento di analisi e discussione ma preferiamo discettare sulla sorte di Maduro che sta a 10mila chilometri di distanza. Tanto sappiamo benissimo che di lui sono altri a occuparsene.


A dare bastonate a Maduro sono buoni tutti. Su questo principe tenebroso i nostri intellettuali però non hanno niente da dire. Seguono una massima aurea: non disturbare il manovratore, cioè il potere. Che non è soltanto italiano ma soprattutto americano, atlantico, saudita, israeliano.Mai che gli venga in mente di chiedere un voto in Parlamento, o per lo meno un dibattito, sul principe saudita Mohammed bin Salman, considerato un assassino anche dagli americani della Cia. In Arabia Saudita non ci sono elezioni, è una monarchia assoluta, proprietà di una famiglia. Il principe Mohammed bin Salman, secondo la Cia, è il mandante dell’assassinio di Jamal Khashoggi, oltre che responsabile dei massacri dei civili in Yemen. Perché non c’è un voto parlamentare contro questo criminale? Semplice: i sauditi pagano il nostro silenzio a colpi di commesse militari.


Hanno votato i grillini o la Lega perché somigliano loro: ogni tanto li assale come in un soprassalto di febbre il brivido del cambiamento ma al primo spiffero corrono a ripararsi sotto le coperte della Nato. Parafrasando Longanesi, i nostri intellettuali sono come gli italiani, vogliono fare la rivoluzione ma con il permesso dei carabinieri. In fondo ce li meritiamo.

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