La ‘ndrangheta era interessata a lavori di costruzione del Tav Torino-Lione in Valle di Susa: una vicenda già emersa nel 2014 durante l’inchiesta San Michele della procura di Torino e ora certificata dalla Cassazione nella sentenza di condanna, diventata definitiva depositata in questi giorni, a carico di otto imputati. Il processo (si tratta del troncone svolto con il rito abbreviato) riguardava l’attività della ‘ndrina di San Mauro Marchesato a Torino e nel circondario.
L’obiettivo di intimidazione della era evitare che sfrattassero un’azienda, la Toro srl, “vicina agli interessi della cosca nei lavori di costruzione della Tav Torino-Lione”.
Giovanni Toro, padre di Toro Nadia, amministratore unico e socio unico della Toro srl, era stato arrestato nel giugno 2014 per concorso esterno in 416 bis. Al momento dell’operazione, la TORO aveva già eseguito importanti lavori proprio presso il cantiere del tunnel geognostico di Chiomonte provvedendo, come scritto sulla Relazione finale dei lavori del contratto C11119, “alla bitumatura della viabilità interna di cantiere, richiesta dalle forze dell’ordine e formalizzata attraverso l’Ods n R-02”. I lavori erano stati dati in subappalto dall’appaltatore che, guarda caso, era un’ATI formata da due imprese locali di proprietà di persone già citate nell’inchiesta Minotauro, la maxi-operazione contro le infiltrazioni della ndrangheta nella provincia di Torino che ha portato poi alla condanna di 23 persone. Inoltre facevano parte dei due contratti relativi ai lavori di recinzione del cantiere, oggetto di un esposto presentato in Procura da numerosi Sindaci ed amministratori locali nel 2013.
L’ennesima conferma degli interessi opachi che hanno da sempre circondato il sistema TAV, diventato oggi la bandiera di un sistema marcio fatto di collusione tra lobbies del cemento, mafia e politica.
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