Un pensiero grande quanto inattuale


di Andrea Zhok*

"La patria moderna dev’essere abbastanza grande, ma non tanto che la comunione d’interessi non vi si possa trovare, come chi ci volesse dare per patria l’Europa. La propria nazione, coi suoi confini segnati dalla natura, è la società che ci conviene. E conchiudo che senza amor nazionale non si dà virtú grande." (Giacomo Leopardi, dallo Zibaldone).

Cito questo passo di Leopardi non per utilizzare il principio di autorità (dopo tutto ci sono cose, anche se non molte, su cui non sottoscriverei idee leopardiane). Lo cito perché mi pare esprimere con splendida semplicità un pensiero grande quanto inattuale.


Leopardi può permettersi queste forme espressive dirette, senza infingimenti e cautele, perché, diversamente da noi oggi, non deve difendersi preventivamente da accuse di 'nazionalismo' (e dunque, secondo le decerebrate concatenazioni correnti, di 'xenofobia-razzismo-fascismo-...').


Ciò che dice Leopardi è semplice, essenziale e potente.


Si tratta di tre cose concatenate, che provo a commentare così.


1) La prima, è che lo stato-nazione ha bisogno di forme e dimensioni adeguate a consentire un reciproco riconoscimento, una "comunione di interessi", in chi vi risiede. Lo stato-nazione non è né può essere un club o una società per azioni. Lo stato-nazione definisce l'orizzonte possibile di un progetto sociale comune, un progetto organizzato, capace di formare un comune sentire, almeno intorno ad alcuni importanti 'oggetti d'affezione' (reali o ideali). Le dimensioni metriche sono una variabile significativa, anche se non decisiva. Il 'troppo' in estensione ha i suoi limiti nella capacità o meno di includere popoli che possano idealmente capirsi, in quanto condividono una storia, una cultura, una lingua, un territorio.


2) La seconda notazione implicita nel passo leopardiano è che vi rimane essenziale la dimensione 'naturale' dei territori (una volta, prima dell'abuso fattone dalle dittature del primo '900, si sarebbe detto una dimensione 'tellurica'.) Questo di nuovo, non perché ci sia un legame stretto tra "Blut" e "Erde" (sangue e terra), ma più semplicemente e autenticamente perché noi siamo ciò che siamo in parte molto significativa perché cresciamo dove cresciamo.
Questo è l'esatto opposto di quel che pensano scribacchini come il recente autore di un testo dal titolo "Contro l'identità italiana". Il fatto che un'identità (come ogni realtà storica) sia nata contingentemente, cioè che, se le cose fossero andate diversamente, sarebbe potuta essere altrimenti, non toglie nulla al fatto che una volta consolidatasi in una certa forma, essa divenga una base per giudizi di valore. I confini italiani (o tedeschi, francesi, ecc.) potevano essere diversi, la lingua che si è imposta come lingua nazionale poteva parimenti essere diversa, ecc. ma tutto ciò è irrilevante quanto al valore che queste cose hanno, una volta che si sono sedimentate. (Pensare che un'identità storicamente contingente non debba, per la sua contingenza, aver valore, è come pensare che siccome ciascuna famiglia, da che mondo è mondo, poteva non formarsi o formarsi altrimenti, allora tutte le famiglie sono unità d'affezione fittizie.)


3) La terza idea, forse la più importante, è che "senza amor nazionale non si dà virtù grande". Questa è un'idea in cui si vede in trasparenza il radicamento della cultura leopardiana nello studio della grecità e della latinità. Le virtù, tutte le virtù, sono virtù sociali, sono cioè facoltà (virtus) il cui senso si esplica appieno, in ultima istanza, all'interno di una comunità di 'soggetti-come-noi'. Dal Socrate del Critone, al Cicerone del De Officiis, nel mondo antico (quel mondo che infatti oggi si è deciso di non studiare più) è ovvio che non possa esistere una virtù che si esplichi in maniera autoreferenziale. Socrate sa che la sua condanna è sbagliata, ma è innanzitutto cittadino ateniese, e dunque rifiuta di fuggire quando ne ha l'occasione, perché al di fuori della polis non c'è spazio per alcuna virtù.


Sono pensieri tanto sfacciatamente inattuali e lontani dalla nostra 'informe forma di vita', quanto straordinariamente veri.


* Professore di Filosofia Morale all'Università di Milano. Post Facebook del 2 luglio 2019

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