di Ashoka Mody - ProjectSyndicate
(Traduzione di Giuseppe Masala)
I rischi potenziali dovuti ad ulteriori misure di stimolo monetario da parte della Banca centrale europea superano i benefici. Gli stimoli aggiuntivi saranno inferiori alle aspettative o non saranno sostenibili, ma in qualsiasi caso potrebbero comunque minare il sistema finanziario della zona euro e le finanze pubbliche in maniera pronfonda e pervasiva. Mario Draghi rischia di peggiorare i problemi della zona euro nelle ultime settimane del suo mandato di otto anni come presidente della Banca centrale europea.
Ha promesso che la Bce ridurrà ulteriormente i tassi di interesse per stimolare l'economia della zona euro. Ma i decisori hanno spazio solo per modesti tagli dei tassi, che faranno ben poco per stimolare la crescita e eserciteranno una pressione potenzialmente intollerabile sulle fragili banche della zona euro. A giugno, Draghi ha dichiarato che la BCE stava preparando una nuova dose di stimoli monetari, tra i quali un'ulteriore riduzione del suo tasso di interesse ufficiale e un rinnovo del quantitative easing (QE) attraverso acquisti di titoli di Stato. E ha continuato a chiedere "un significativo livello di stimolo monetario" dopo la riunione più recente del Consiglio direttivo della Bce del 25 luglio. Più recentemente, Christine Lagarde, che succederà a Draghi come presidente della Bce il 1° novembre, ha affermato che la banca centrale "dispone di un ampio kit di strumenti e deve essere pronta ad agire”. Allo stesso modo, Olli Rehn, governatore della banca centrale finlandese e membro del Consiglio direttivo della Bce, ha chiesto un'azione “sostanziale e sufficiente”. I mercati finanziari si aspettano quindi dalla Bce misure aggressive - che potremmo definire da "big bang" - da annunciare già nella prossima riunione del Consiglio del 12 settembre.
Il rischio ora è che le misure annunciate siano ben al di sotto delle aspettative. Infatti il membro del Consiglio direttivo Jens Weidmann, presidente della Bundesbank tedesca, afferma che l'eurozona non ha bisogno di stimoli monetari. L'altro membro tedesco del consiglio, Sabine Lautenschläger, ha recentemente affermato che "è troppo presto per un grosso pacchetto". Non vi è alcun rischio di deflazione, ha aggiunto, e quindi non è necessario un ulteriore QE. Anche Klaas Knot, il presidente della banca centrale olandese, condivide questo approccio. La Bce non è una normale banca centrale. E' al servizio di una confederazione di paesi - un'Europa di stati-nazione - e gli interessi contrastanti tra questi sono insiti nel suo processo decisionale. Ciò si traduce in ritardi e mezze misure. Ad esempio, la Bce ha rinviato l'introduzione del tanto necessario QE per due anni e mezzo prima di farlo finalmente a gennaio 2015.
A quel punto, l'inflazione della zona euro era scesa all'1% circa e, nonostante l'enorme programma quadriennale di acquisti, che ha funzionato fino a dicembre 2018, l'inflazione rimane a tutt'oggi a livelli bassi. Mentre continuava il QE, la Bce prevedeva regolarmente che l'inflazione tornasse al suo obiettivo di "sotto, ma vicino al" 2%.
Tuttavia, poiché i decisori [della politica monetaria] hanno costantemente minacciato di porre fine agli stimoli, i mercati dedussero che la Bce non era impegnata in uno stimolo sostenuto. Il tasso di cambio euro-dollaro si è quindi mosso appena; infatti, l'euro si è apprezzato nei confronti di un paniere di valute importanti. In definitiva l'inflazione nell'Eurozona è stata "disancorata" dalle decisioni di politica monetaria. La Bce ha quindi dichiarato la vittoria e ha ritirato prematuramente gli stimoli proprio mentre l'economia della zona euro stava rallentando nuovamente. Le divergenze di interessi tra gli Stati membri della zona euro sono facilmente spiegabili. Fino a poco tempo fa, l'inflazione in Germania era stata dell'1,5% circa all'anno; in Francia e in Italia è stato più vicino allo 0,6% (vedi Figura 1). Lautenschläger dunque ha ragione sul fatto che la Germania non è affatto vicina alla deflazione, ma un ulteriore shock al ribasso potrebbe spingervi le economie di Francia e Italia.
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