Come fermare i fuorilegge ebrei  in Palestina!


di Patrizia Cecconi
Amman, 22 settembre 2019


Nella Valle del Giordano è bastata la dichiarazione di appropriazione indebita fatta dal plurindagato Netanyahu prima delle elezioni per far partire le ruspe dello Stato ebraico a devastare gli oliveti palestinesi.
A Beit Jala, nel distretto di Betlemme, una cittadina di case e di chiese bianche dove il suono delle campane supera la voce del muezzin perché la maggioranza dei suoi abitanti è di religione cristiana, si è insediato un avamposto di fuorilegge ebrei.

Per le strade della West Bank la pena di morte senza processo viene regolarmente somministrata (ultima vittima una donna palestinese colpevole di aver sbagliato corsia pedonale) e a Gaza i venerdì di sangue sono la risposta israeliana alla richiesta di rispetto di una Risoluzione Onu.

Chi li fermerà questi assassini di genti e di diritti? Chi si scandalizzerà davanti all’ennesima devastazione di oliveti o al nuovo avamposto nato a Beit Jala, la cittadina nelle cui campagne sorge il convento salesiano e l’antica vineria Cremisan fondata a fine “800, ben 12 anni prima che il padre del sionismo Theodor Herzl lanciasse l’idea dello Stato ebraico in Palestina, definendola terra senza un popolo? Chi impedirà a Israele di accaparrarsi, attraverso questo nuovo avamposto, altro terreno per unire le colonie illegali di Gilo (dove ha la doppia residenza anche la sionista ed ex parlamentare italiana Fiamma Nirenstein) e Har Gilo ed espandere ulteriormente, benché illegalmente, i suoi confini?

L’avamposto, come dice il nome, è un primo accampamento. Normalmente è composto di roulottes e case mobili in cui un gruppo di fuorilegge ebrei armati e solitamente protetti dall’esercito di occupazione va a insediarsi. Se i palestinesi fossero realmente i duri e spietati combattenti descritti da Israele e dai suoi valletti mediatici, questi avamposti finirebbero in cenere in meno di una settimana e i loro abitanti verrebbero legittimamente cacciati.

Ma i palestinesi, al contrario, ormai si limitano a manifestare e a invocare l’attenzione del mondo contando ancora sulla legalità internazionale, nonostante le pluridecennali prove che ne mostrano la sudditanza, o la complicità o, nei casi migliori, la tolleranza dei crimini israeliani grazie a quello strumento magico che Israele sa strumentalmente agitare soprattutto per tacitare l’opinione pubblica, cioè l’olocausto!

I palestinesi manifestano e gli israeliani avanzano. Lo fanno con strumenti diversi, uno di questi è l’avamposto. Israele lascia che questi gruppi di civili armati, provenienti da varie parti del mondo e uniti solo dalla stella di David vadano ad occupare terreni strategici, poi dopo un po’ di tempo gli fornisce acqua ed elettricità e alla fine li “legalizza”, cioè, con propria legge interna e in totale conflitto con la legalità internazionale, li autorizza a diventare vere e proprie colonie e a far proprio il territorio occupato.

Contro chi si oppone manifestando, urlando a un mondo generalmente distratto la sua richiesta di solidarietà o, nel più violento dei casi, lanciando pietre, l’IOF risponde sparando, arrestando, uccidendo e i media mainstream, quando decidono di raccontarlo, hanno già pronto il copione: in seguito a “violenti scontri” hanno perso la vita o sono stati feriti o arrestati un certo numero di palestinesi. Palestinesi! Categoria che generalmente non richiede ulteriori dettagli che ne mostrino la composizione umana, quella capace di creare empatia nel lettore. Esattamente come avviene per i numerosi ferimenti e spesso uccisioni di palestinesi inermi che manifestano ogni venerdì alla Grande marcia del ritorno lungo i confini dell’assedio di Gaza.

Anche ieri sono stati feriti oltre 100 manifestanti ed uno di loro, una donna “pericolosamente armata” di una lunga bandiera è stata uccisa. Notizia che non fa notizia e che quindi non occupa le colonne di democratici quotidiani come ne occuperebbe il ferimento a un dito di una donna israeliana.

Fermare Israele non è solo una necessità per i palestinesi. Fermare Israele è una necessità internazionale perché il suo cammino verso la distruzione di chi si pone di traverso alla realizzazione dei suoi progetti espansionisti è un cammino che riguarda il mondo, sia per le complicità di cui si serve, comprese quelle di una parte del mondo arabo, sia per la dannata forza dell’esempio che riesce a dare mostrando che il diritto è carta straccia e che l’unica legge valida è quella del più forte. Israele è un pericolo per il mondo e non solo il nemico di una pace giusta in Medio Oriente e il genocida del popolo palestinese.

“Qualcuno fermi Israele” è una voce che si sente anche al suo interno e che proviene da una minoranza di attivisti israeliani additati alla popolazione come traditori, mentre, al contrario, rappresentano il nucleo di ebrei che pur avendo (di fatto) accettato il sionismo, sono o sarebbero in grado di salvare Israele da se stesso.

Ma il senso di onnipotenza attinto dalla narrazione biblica e fatto proprio anche dai sionisti non credenti rappresenta il vero pericolo che l’opinione pubblica non riesce a vedere. Quell’opinione pubblica che è necessario manipolare per renderla neutra e che, proprio per questo, mostra di avere un peso. Quell’opinione pubblica a cui non arriva l’invito a fermare Israele perché si blocca sul muro mediatico che grazie allo strumentale uso della tragedia della Shoah Israele è riuscito ad innalzare. Quando il mondo si accorgerà di questo forse sarà tardi, non solo per i palestinesi, ma anche per quei pochi israeliani che sinceramente credono nella democrazia. E forse anche per l’arrogante e fuori legge Stato di Israele che prima o poi sarà costretto a cedere a una legge universale che la Storia ha mostrato inevitabile: nessun potere è eterno.

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