Trump, i curdi e la lotta al terrorismo in Siria



di Michele Merlo


L’annuncio di Donald Trump di ritirare le proprie forze dal nord della Siria ha provocato critiche accorate sul destino dei curdi nella regione. Nella guerra contro il terrorismo - importato in Siria da Nato, Nato del Golfo e UE - da parte del governo siriano con i suoi alleati regionali e il fondamentale intervento russo, il ruolo dei curdi è spesso stato contraddittorio. Da un lato la lotta all'Isis, dall'altro la costruzione di basi statunitensi nell'area, oltre ad accordi con magnati israeliani e rapporti neanche troppo velati con Arabia Saudita e altri paesi del Golfo, principali responsabili della distruzione della Siria, il loro paese. I curdi adesso vengono prima convinti a smantellare le fortificazioni al confine con la Turchia e successivamente abbandonati al loro destino, di fronte a un’imponente concentrazione di forze turche pronte all’invasione.

Va ricordato che la guerra in Siria non riguarda solo i curdi, ma i siriani appunto, di cui i curdi fanno parte, al pari dei drusi, degli alawiti e di altre “etnie” e gruppi religiosi.

L’onda di estremismo che ha distrutto il paese, non è per nulla spontanea, ma finanziata, addestrata e armata da molti attori statuali, la Turchia, il Qatar, Arabia Saudita, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna.

Il ritiro degli Usa dal conflitto siriano è dunque una buona notizia, perché sarà funzionale ad un processo di pacificazione dell’area. È evidente che un intervento turco in funzione anti YPG avrà effetti di destabilizzazione nel breve periodo, ma porterà ad un inevitabile accordo tra Turchia e Siria, proprio per l’interesse comune dei due stati a concludere la guerra e stabilizzare la regione. I curdi sono parte di questo accordo che potrebbe essere più vicino di quanto si pensi, infatti le notizie di una riapertura del dialogo tra YPG e governo siriano è il preludio a un percorso già sperimentato in diverse aree della Siria, in cui i curdi ottengono una forte autonomia, in cambio della fedeltà al principio di unità dello stato siriano, di cui i curdi sono parte.

Accordi simili sono in vigore ad Aleppo, Hasakah e al confine nord occidentale in prossimità di Afrin.

Chi sostiene la lotta del popolo curdo, dovrebbe guardarsi bene dal chiedere un intervento militare NATO, poiché sarebbe il modo più veloce di arrivare alla terza guerra mondiale tra potenze. Fino ad ora la presenza militare americana si è “limitata” a colpire l’ISIS, sporadicamente l’esercito siriano, potenziando la componente curda, con la fornitura di ogni armamento di terra possibile. Non è un mistero che gli americani non sono mai generosi e che, di fronte ad un appoggio militare e politico così forte ci sia una contropartita altrettanto adeguata a quanto gentilmente elargito.

C’è poi da ricordare che, per quanto la propaganda faccia credere che il nord della Siria è abitato dalle popolazioni curde, la composizione “etnica” vede i curdi maggioranza relativa, nell’ordine del 25% rispetto al resto di altri gruppi, principalmente arabi, turcomanni e drusi. E’ quindi una forzatura sostenere la nascita di una nazione curda, a meno di imponenti operazioni di pulizia etnica.

Eccoci dunque alla soluzione, che a questo punto è tutta nelle mani di Putin, grazie al rapporto instaurato con la Turchia e la Siria e l’Iran. L’annessione dei territori alla Siria e la costituzione di un’entità politica autonoma dove i curdi avrebbero un’ampia capacità di scelta, ma sempre e comunque all’interno dell’unità territoriale siriana.

Personalmente a un intervento militare americano, ho sempre preferito il disimpegno, in favore di una pacificazione tra attori locali. Va ricordato che i curdi sono la foglia di fico con cui gli Usa agiscono in Siria. In passato gli interventi sono stati benedetti sempre con l’intento di salvare qualcuno, ma l’epilogo è sempre stato un bagno di sangue.

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