I confini della Siria e della verità



di Pino Cabras

Questioni di sfumature, con cui vengono costruiti i racconti che suonano meglio alle proprie orecchie. Oggi "il manifesto" pubblica un articolo che descrive a suo modo le conseguenze dell'accordo fra la Federazione Russa e Repubblica Turca sulla gestione dell'entroterra siriano al confine fra Siria e Turchia. Il titolo dell'articolo dice «Mosca minaccia i curdi, la Nato e gli Usa festeggiano». Sottotitolo: «"Sarete asfaltati se non vi ritirate". Nel nord della Siria in atto un processo di ingegneria demografica.» Cosa vi rimane di un simile lancio? Vi rimane che la minaccia esistenziale diretta all'intero popolo curdo è frutto di un'originaria e spietata volonta del Cremlino. E gli altri si accodano. Nel corpo dell'articolo del "manifesto" la cosa viene spiegata così: «Dopo il vertice-fiume di Sochi tra Erdogan e il presidente Putin, ieri la Russia ha fatto la voce grossa con i curdi: si ritirino e si disarmino entro il 29 ottobre, scadenza delle 150 ore di nuovo cessate il fuoco, altrimenti – parola del portavoce del Cremlino – Mosca e Damasco li lasceranno da soli di fronte "al peso dell’esercito turco". "Saranno asfaltati", dice.» Notare quel minaccioso: «ha fatto la voce grossa».

Sono andato a leggere il testo autentico del portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov. La questione suona diversamente: «Gli Stati Uniti sono stati gli alleati più stretti dei curdi. Eppure li hanno abbandonati, essenzialmente li hanno traditi e ora preferiscono mantenere i curdi al confine e praticamente li costringono a combattere i turchi», ha affermato il portavoce. Già così, più che una minaccia al popolo curdo, quella di Peskov suona come un'accusa all'amministrazione statunitense. In sostanza dice: avete tradito i curdi, li avete esposti. Il significato appare già così assai differente dallo schema in cui lo inseriva "il manifesto". Il punto più controverso è espresso così: «E' ovvio che se i gruppi curdi non si ritirano dalle cosiddette zone di sicurezza lungo il confine, a quel punto le guardie di confine siriane e la polizia militare russa dovrebbero abbandonare l'area. In tal caso, i gruppi curdi rimanenti verrebbero sbaragliati dall'esercito turco».

Non è la descrizione di una pulizia etnica rivolta al popolo curdo e decisa da Mosca, bensì la descrizione di una situazione che riguarderà il ritiro di forze armate curde per favorire una presa in carico da parte di Siria e Russia di un'interposizione al confine che servirà a impedire una presenza diretta dei turchi. Si tratta di cruda Realpolitik, certo. Ma è giusto osservare in modo altrettanto realistico che si tratta di uno scenario diverso dalla narrazione de "il manifesto".

Tutto risolto, dunque? Certo che no. Rimane apertissima la questione del fututo ritorno in Siria dei milioni di profughi siriani (in gran parte non curdi) oggi accampati in Turchia, e che Ankara vorrebbe ricollocare comunque vicino al confine, con il rischio di alterare profondamente gli equilibri etnici in aree ad alta densità curda. Credo che questa, come altre questioni, debba essere una questione da far risiedere nella sovranità siriana e non turca, e che la Turchia, dopo aver contribuito alla distruzione e al saccheggio della Siria, non debba mettere becco sui criteri della ricostruzione.

La verità della Storia e della cronaca sarà un ausilio prezioso.

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