Sardine, perché fingere l'appartenenza politica?


di Andrea Zhok


Mentre agonizzano Ilva e Alitalia, e mentre l'intero paese continua a sbriciolarsi ad ogni stagione delle pioggie, la discussione politica italiana si appassiona al tema delle 'sardine'.

Ora, tra tutte le infinite cose il cui senso mi sfugge, ce n'è una che non riesco a tacere.


Il 'movimento delle sardine' si sta mobilitando un po' ovunque in Italia.


In un paio di contesti che conosco di persona la mobilitazione via social è promossa da noti attivisti del centro-sinistra (prevalentemente PD). Altri da altre sedi mi hanno riportato lo stesso. Ed è naturale che sia così, visto che la prima funzione della politica è quella del coordinamento e dell'organizzazione di interessi bradi. Non c'è proprio niente di male. Al contrario.


Il contenzioso politico infatti è del tutto trasparente.


Il 26 gennaio prossimo si terranno le elezioni regionali in Emilia-Romagna, dove la partita è tra centro-sinistra a guida PD e centro-destra a guida Lega.


Il centrosinistra, al governo, teme che una sconfitta ne decreterebbe la fine e chiama a raccolta tutte le proprie risorse per scongiurare questa possibilità.


Tutto ciò è fisiologia della politica.


Il PD è al governo anche in Emilia-Romagna, e se la popolazione regionale riterrà che ha governato bene, lo riconfermerà (come peraltro recenti sondaggi sembrano indicare).


Tutto ciò sarebbe perfettamente normale. Ciò che è seriamente anomalo è il gioco delle tre carte che viene fatto per negare la sovrapponibilità sostanziale tra elettori del centrosinistra e 'movimento delle sardine'.


Questo punto è davvero patologico, e lo è a maggior ragione perché rientra in un processo di dissimulazione di lungo periodo che avviene nell'ambito del CSX.


E' qui e solo qui che da tempo ci si vergogna di nominare le appartenenze di partito.


Ciò che è paradossale è che quegli stessi che di fronte a proposte che si dicono 'né di destra né di sinistra' alzano gli occhi al cielo e lanciano strali (come Giannini ieri su La7), poi ci tengono a sottolineare l'assoluta apartiticità e apoliticità di chi manifesta a proprio favore.


Questa vergogna di fronte alla rivendicazione di un'identità politica a me pare l'aspetto più grave di tutta questa vicenda. Si tratta di una tendenza ben consolidata, peraltro, una tendenza che ha una serie di corollari.


1) Essa permette di evitare imbarazzanti discussioni su ideali, progetti e proposte politiche positive quali che siano; per raccogliere i 'propri' basta aizzare l'odio verso la controparte (sempre, va da sé, nel nome della lotta all'odio...).


2) Permette (specificamente al CSX) di continuare a giocare con l'ambiguità del suo percorso storico (PCI-PDS-DS-PD), continuando a farsi passare per 'gli-stessi-solo-più-moderni', conservando così la simpatia di una generazione fidelizzata più anziana;


3) Consente di giocare la carta, tipica della modernità capitalistica, della depoliticizzazione, dove il vero protagonista della politica sarebbe una 'società civile' presunta pura e superiore a schieramenti di interessi; questa è la direzione che alimenta l'idea di una politica come tecnocrazia anonima (tanto There Is No Alternative);


4) Permette infine di non pagare mai dazio, perché questa identità liquida consente di rivendicare eventuali vittorie, e di negare di esserci mai stato, dove si verificano sconfitte.


Ora, questa tendenza in una democrazia è profondamente malsana.


Perché una democrazia possa tentare di funzionare è necessario dichiarare chi si è e per cosa si sta, assumendosi la responsabilità delle proprie proposte. Questo è il presupposto indispensabile per mettere in condizione il 'popolo sovrano' di esercitare l'unico scampolo di sovranità che gli è rimasta.


Invece il gioco di fingere di non esserci o di essere altrove, riducendo inoltre tutti i propri contenuti politici all'avversare l'avversario, rappresenta semplicemente la bancarotta del processo democratico.


(Ma naturalmente per molti questo è irrilevante, perché per loro in politica ne va solo di 'vincere', purchessia, mostrando così di aver perfettamente introiettato il nichilismo competitivista che domina i dispositivi capitalisti).


*Professore di Filosofia Morale all'Università di Milano

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