Corsa agli armamenti e confronto geopolitico mondiale



di Fabrizio Poggi

Secondo i dati pubblicati lo scorso 9 dicembre dal Sipri, nel 2018 la Russia ha conservato il secondo posto mondiale tra i maggiori produttori di armi. Un secondo posto (36,2 miliardi di dollari, pari al 8,6%: -1,1% rispetto al 2017) ben lontano dai produttori USA, che mantengono il primato con ben 246 miliardi (59% mondiale: +7,2% rispetto al 2017) di dollari. Al terzo posto la Gran Bretagna, da un paio d'anni scalzata dalla Russia dal suo precedente secondo posto; al quarto la Francia, in una classifica che comunque vede un aumento complessivo del commercio di armamenti del 4,7% rispetto al 2017, per un totale di 420 miliardi di dollari incamerato dai 100 più grossi produttori, Cina esclusa. Dal 2002 il commercio di armi è cresciuto del 47%.


I primi cinque posti mondiali sono occupati da altrettante compagnie statunitensi - Lockheed Martin, Boeing, Northrop Grumman, Raytheon, General Dynamics - le cui vendite rappresentano da sole il 35% (148 mld $) del volume globale.


La più forte tra le imprese russe, Almaz-Antej, occupa la nona posizione tra le dieci più potenti compagnie mondiali, con il 27% del commercio totale russo. Nel 2018, le vendite di Almaz-Antej (produttore, tra l'altro, dei sistemi missilistici S-400) sono cresciute del 18% rispetto all'anno precedente, attestandosi a 9,6 miliardi di dollari. Flessione invece per altre compagnie russe: -30% per la “Elicotteri di Russia” (1,8 mld: scesa dal 37° al 52° posto mondiale), e altre imprese aeronautiche, con cali dal 11 al 16%.


Il Sipri certifica un aumento delle vendite francesi, insieme a una leggera flessione (-4,8%) di quelle britanniche, che comunque rimangono le più forti in Europa (8,6% mondiale: 35,1 mld) e tedesche. L'aumento del commercio francese (5,5%: 23,2 mld) sarebbe legato all'impennata (+30%) nelle vendite della Dassault Aviation. I quattro gruppi tedeschi presi in esame dal Sipri hanno perso poco meno del 4% e solo l'aumento delle vendite di veicoli militari da Rheinmetall alle forze armate tedesche riesce a contrastare il calo delle vendite di Thyssen-Krupp.


In ogni caso, l'insieme di 27 compagnie europee controlla un buon 24% del commercio globale, per 102 miliardi (+0,7% sul 2017), tanto che 80 dei 100 più grossi produttori d'armamenti hanno sede in USA, Europa e Russia. Seguono 6 imprese giapponesi (9,9 mld: 2,4%); tre ciascuno in Israele (8,7 mld: 2,1%), India e Corea del Sud; due in Turchia; una ciascuno per Australia, Canada e Singapore.


Per quanto riguarda specificamente il ruolo della Russia, l'osservatore dell'Istituto per le ricerche strategiche Sergej Ermakov, intervistato da Svobodnaja Pressa, afferma che non è corretto paragonare l'attuale export russo di armi con quello sovietico. A differenza della Russia, dice Ermakov, l'URSS “non praticava commercio di armi. Le forniture di armi in epoca sovietica erano motivate da politica e ideologia; il profitto non era l'argomento principale; era semmai un modo per ampliare l'influenza geopolitica. L'appesantimento del sistema economico nella tarda Unione Sovietica indica anzi che i leader sovietici concepivano il complesso militare-industriale e l'economia come sfere completamente diverse”. Per gli americani, al contrario, “il commercio di armi è sempre stato soprattutto business. E, investendo nella produzione militare, gli USA hanno sempre contato di ottenere un effetto sinergico, un balzo per l'intera economia”.


Alla domanda, quanto sia importante oggi per la Russia rimanere tra i leader nel commercio delle armi, Ermakov risponde che ciò è “eccezionalmente importante. Oggi il mercato delle armi è soprattutto un mercato delle tecnologie avanzate. Si tratta di una sfera “driver”, anche per i settori civili. Se perdessimo le nostre posizioni sul mercato delle armi, ciò si rifletterebbe negativamente sull'economia nel suo insieme. Inoltre, indeboliremmo la nostra influenza geopolitica: ne è un esempio la fornitura alla Turchia dei sistemi S-400, a dispetto della volontà contraria USA”.


Secondo l'osservatore Sipri Aleksandra Kuimova, citata dalla Tass, l'aumento del commercio fatto registrare dalle compagnie russe nell'ultimo decennio è legato principalmente (impossibile dire quanto) alle vendite alle forze armate russe, nel quadro della modernizzazione di esercito e marina, e solo secondariamente al commercio estero degli armamenti.


Su questo sfondo, il bilancio militare NATO nell'ultimo anno ha oltrepassato il trilione di dollari. Le spese militari dell'Alleanza atlantica, nota Anton Chablin su Svobodnaja Pressa, hanno assunto un “ritmo galoppante” a partire dal 2014, con la parte del leone fatta da USA (752 mld di $) e Francia (51 mld). A tale bilancio NATO, nel 2018 la Russia ha opposto un budget di 46 mld di dollari, anche se l'osservatore militare della CNA Corporation, Michael Kofman, calcolando il potere d'acquisto del rublo, fissa la cifra reale a circa 150 miliardi: molto lontana, in ogni caso, dal bilancio complessivo NATO. L'Alleanza atlantica considera infatti apertamente la Russia quale nemico, afferma il politologo Mikhail Roshchin: “se non ci fossero stati gli avvenimenti ucraini, la NATO sarebbe ancora più vicina alle nostre frontiere. La NATO aveva la possibilità di procedere a una de-escalation nei rapporti con la Russia, ma tale possibilità fu respinta da Bill Clinton, che decretò l'allargamento a est della NATO”. Anche i timidi passi di Emmanuel Macron in direzione di Mosca, secondo Roshchin, sono dettati non da una reale volontà di avvicinamento a Mosca, ma soprattutto dal timore di più forti legami russo-cinesi.


La corsa agli armamenti procede spedita.

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