La Lituania della europeista devozione anti-sovietica



di Luigi Grassini

La storia va di fretta e non perdona i ritardatari. Passati tre mesi dalla cosiddetta risoluzione sulla altrettanto cosiddetta “importanza della memoria europea” che, con toni blasfemi, vorrebbe equiparare nazismo e comunismo, c'è già chi va oltre. In effetti, i soliti “primi della classe” - non sorprende che a farsi promotori di quella cosiddetta risoluzione fossero stati pan polacchi e baltici – già da anni si erano portati anche più avanti col programma; ma, ora, possono dire di partire da una “base istituzionale”, per celebrare le glorie dei propri “eroi” complici dei nazisti e massacratori di civili, per equiparare la simbologia sovietica a quella nazista e perseguire penalmente chiunque neghi tale accostamento.


E' così che in Lituania (ma fatti simili si ripetono in Estonia e Lettonia, e non solo), da un lato, non si ha per ora notizia di una prossima scarcerazione dell’ex vice Sindaco di Vilnius ed esponente del Fronte socialista popolare di Lituania, Algirdas Paletskis, la cui detenzione, senza che gli sia mossa nessuna accusa specifica, da oltre un anno viene via via prorogata, per aver egli chiesto a più riprese ulteriori indagini sui fatti del 13 gennaio 1991 a Vilnius, allorché l'assassinio di 14 persone e il ferimento di alcune decine di altre aveva anticipato il copione dei cecchini di majdan.


Dall'altro lato, come oramai d'uso proprio dal 1991, si glorificano quali “eroi” nazionali gli ex inquadrati nelle Waffen SS, nei reparti nazionali di polizei a guardia dei lager nazisti e i cosiddetti “partigiani contro l'occupazione sovietica”.


Il Presidente lituano Gitanas Nauseda, degno successore di quella Dalja Gribauskajte, ex esponente del PCUS e che proprio Algirdas Paletskis aveva definito come la “principale fascista di Lituania”, ha inviato una corona di fiori sulla tomba di Antanas Kraujalis (nome di battaglia “Sjabunas”: il mostro, ex appartenente ai cosiddetti “fratelli dei boschi”, che durante la guerra e nei primi anni postbellici massacrarono migliaia soldati dell'Armata Rossa e di civili di tutti i Paesi baltici - circa 25.000 nella sola Lituania) i cui resti erano stati solennemente ritumulati al cimitero Antakalnis di Vilnius.


Secondo gli archivi dell'ex KGB dell'URSS, “Sjabunas” si era personalmente macchiato, addirittura fino al 1962, di undici assassinii, in particolare di presidenti di sovkhoz, esponenti rionali di partito, del Komsomol e di amministrazioni sovietiche, senza fermarsi nemmeno di fronte a una donna in procinto di partorire e a una bambina di otto anni.


Secondo quanto riportato dall'agenzia “Ritm Evrazii”, il Presidente Nauseda avrebbe annunciato anche l'avvio delle ricerche dei resti di un altro “fratello dei boschi”, Juozas Luksha. In base alle testimonianze, nel 1941 Luksha avrebbe preso parte allo sterminio di anziani, donne e bambini ebrei a Kaunas e avrebbe personalmente tagliato la testa al rabbino Zalman Ossovski.


Sembra che addirittura il Congresso USA abbia chiesto al Primo ministro lituano Sauljus Skvernjalis di obbligare il cosiddetto “Centro per lo studio del genocidio e la resistenza” a non divulgare informazioni false per giustificare un altro "partigiano": Juozas Ambraziavicius-Brazaitis. Ancora l'agenzia “Ritm Evrazii” riassume la biografia di questo “eroe” che, a capo del cosiddetto “governo provvisorio” di Lituania (non riconosciuto nemmeno dai tedeschi) nel giugno 1941 decise l'apertura del primo lager lituano per gli ebrei. Inoltre, proprio gli appelli antisemiti del “Fronte degli attivisti lituani”, di cui Ambraziavicius-Brazaitis era esponente di primo piano, dettero il via agli assassinii in massa degli ebrei di Lituania. Morto quarant'anni prima in USA, nel 2012 i suoi resti erano stati ritumulati al cimitero di Kaunas, nonostante le proteste della comunità ebraica locale.


E, per non lasciare a bocca asciutta i vivi, dal 2011 un premio in denaro di 5.000 euro - “Premio della Libertà: per meriti di fronte a libertà, democrazia e diritti dell'uomo” - viene istituzionalmente conferito anche ad alcuni di quei “fratelli” che la giustizia sovietica aveva a suo tempo graziato: sette di essi hanno ricevuto il premio nel 2018 e uno quest'anno, il 93enne Albinas Kentra. Non casualmente, il premio viene attribuito proprio il 13 gennaio, anniversario di quei fatti su cui Algirdas Paletskis avrebbe da dire qualcosa di diverso da quanto affermano ormai da trent'anni i “democratici” lituani.


Nel 2017, il premio era stato attribuito alla monaca cattolica Nijole Sadunajte, ex “dissidente” dell'epoca sovietica, quando gli italici telegiornali di aprivano quotidianamente e invariabilmente con le omelie sui “dissidenti lituani”. Nel ricevere il premio, la pia monaca aveva dichiarato che lo avrebbe volentieri passato ai “partigiani nazionali” e si era detta sorpresa che, fino a quel momento, il riconoscimento non fosse stato mai assegnato a nessuno dei “fratelli dei boschi”. Se non ci fossero stati loro, aveva detto la santa donna, “non ci saremmo nemmeno noi: la Lituania si è sollevata grazie al loro sangue, alle loro sofferenze, al loro sacrificio”.


Forse, i venticinquemila lituani massacrati dai “fratelli dei boschi” odono le devote parole di cotanta compassionevole monaca. Di sicuro, gli eurodeputati del parlamento europeo si sentono appagati per lo zelo con cui la risoluzione del 19 settembre viene applicata e sorpassata.

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