Don Berardelli, il gesto straordinario del prete di Casnigo (Bg) che accusa l'italia

di Patrizia Cecconi,

Londra, 24 marzo 2020


Ormai è evidente a tutti che la velocità di diffusione del maledetto coronavirus è in concorrenza con quella del web e infatti tramite il web, che scavalca le frontiere anche quando si creano muri divisivi e/o censori, arrivano notizie. A volte notizie pure, ma spesso anche notizie atte a creare allarmismo come questo periodo ci sta dimostrando alla grande.

Quella appena appresa dal Daily Mail, ma non ancora ricevuta dalla stampa italiana, comunica laconicamente un fatto avvenuto 8 giorni fa in Italia che, oltre ad essere al contempo luttuoso ed edificante, fa urlare di indignazione ogni cittadino italiano che abbia senso civico e coscienza democratica.

L’urlo avrebbe dovuto cacciarlo don Giuseppe Berardelli, sacerdote di 72 anni di Casnigo (BG), evidentemente molto amato dai suoi parrocchiani tanto che questi - essendo lui ricoverato da tempo in ospedale con una seria patologia - avevano fatto una colletta per regalargli un respiratore.

Ma don Berardelli non ha urlato contro questa sanità pubblica carente di strumentazioni che costringeva i suoi parrocchiani a coprirne le falle, bensì ha deciso che quel respiratore poteva salvare una vita più giovane della sua e lo ha regalato affinché venisse usato per qualcuno che ne avesse, a suo modo di vedere, più diritto.

Ora le agenzie di stampa italiane cominceranno a battere la notizia e domani magari la riporteranno i giornali, non solo quelli di Bergamo, inserendo anche don Berardelli tra i morti di coronavirus e santificandolo (se lo merita) per la sua buona azione. Poi qualcuno di sicuro dirà che no, forse non è andata proprio così, ma non si potrà negare che il respiratore è stato comprato dai suoi parrocchiani, mentre avrebbe dovuto trovarsi già pronto in ospedale e non da solo visto che le malattie che portano a morte per insufficienza respiratoria sono frequenti in ogni inverno e le morti che ne conseguono spesso sarebbero evitabili se ci fossero strumenti idonei e personale addetto ad usarli.

Da Casnigo quindi arriva un urlo muto, esce dalla bara di un prete che ha chiuso la sua vita legandola ad una buona azione. Un’azione che però non avrebbe avuto bisogno di compiere se in dieci anni la sanità non avesse perduto 70.000 posti letto, non avesse visto il taglio di 37 miliardi o la chiusura di numerosi ospedali, la riduzione del personale, il non investimento in strutture necessarie a tutelare la salute dei cittadini.

Oggi, di tutto questo, il virus del terrore ci sta presentando il conto. Ma invece che prenderne atto e, di conseguenza, prendere i rimedi sanitari immediati, si prendono misure poliziesche che un popolo terrorizzato non solo accetta ma addirittura richiede. La stessa Cina, che dapprima veniva dileggiata e criticata per le sue misure da Stato totalitario, successivamente veniva imitata. Il suo successo faceva scuola.

Ma anche l’Italia ha fatto scuola: i parigini che avevano vergognosamente deriso gli italiani organizzando addirittura video-party irridenti spalmati sui social, poi hanno mostrato la loro grandeur provando a fuggire in massa quando il virus ha iniziato a parlare francese.

Macron, a imitazione dell’Italia - cosa inammissibile per un francese, ma veritiera - ha dichiarato il lockdown usando una frase foriera di gravi conseguenze. Ha detto “siamo in guerra” e tutti, anche in Italia, a ripetere la frase vincente, siamo in guerra.

Ma quanti hanno pensato a quel detto popolare che dice “In guerra e in amore tutto è lecito”? L’amore lo circoscriviamo ai balconi con i cuoricini o alle azioni edificanti che l’esperienza ci fa supporre verranno cavalcate e strumentalizzate e finirà lì. Resta la liceità delle azioni in tempo di guerra. Anche la pena di morte per i disertori, la galera per gli oppositori, la sospensione delle garanzie democratiche per tutti. In guerra tutto è lecito. Se poi lo chiede il popolo è lecito e democratico. Pensiamoci!

In Germania, in Austria, in Gran Bretagna e sostanzialmente in tutta Europa non sta andando troppo diversamente. In particolare in Gran Bretagna, da dove stiamo scrivendo, a parte il fluire e rifluire di provvedimenti diversi accompagnati inizialmente dalle parole sbagliate e immediatamente cavalcate dalla stampa di ogni colore, successivamente c’è stata un’inversione a U arrivata come risposta a “il popolo ce lo chiede” e si è passati da un pericoloso niente - strumentalmente giustificato dalla fiducia nella responsabilità del popolo, poi non più tale – a un abbondante numero di misure coercitive senza mettere il focus sull'impoverimento della sanità pubblica dalla Tatcher in poi.

Ma in guerra tutto è lecito e così, oltre alla caccia all’untore da parte di cittadini terrorizzati, abbiamo notizia di punizioni sempre più esemplari e terribili da parte di vari governi, previste per chi dissente. Misure che vanno da anni di detenzione fino alla pena di morte, quella magari da noi no o non ancora, ma a Est si sta già profilando e nell’era del web tutto passa veloce da un paese all’altro, non solo il coronavirus.

Se don Berardelli avesse potuto gridare che la democrazia si salva anche salvando la sanità pubblica e quindi rendendo meno pericolose le misure emergenziali, forse sarebbe ancora vivo, e con lui sarebbero vivi tantissimi altri che, con o senza coronavirus, sono caduti sotto la falce di una morte che non ha trovato ostacoli.

Siamo tutti mortali, lo sappiamo, ma quasi tutti amiamo la vita e allora, alle macabre scenografie che ci fanno sembrare dovuta alla Covid-19 la strage cui stiamo assistendo, qualcuno, qui in Gran Bretagna ma anche lì in Italia, sta pensando di contrapporre l’urlo di chi sarebbe stato ancora vivo se la sanità non avesse ceduto alle logiche del liberismo. Don Berardelli verrà ricordato anche per questo, nonostante si cercherà di coprire le responsabilità pubbliche con la sua generosità.

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