Seconda missione di medici cubani in arrivo in Piemonte. Ora l'Italia prenda posizione forte contro il criminale bloqueo USA


di Francesco Fustaneo

Ancora medici in arrivo da Cuba, stavolta in Piemonte dopo il primo contingente attualmente impegnato in prima fila contro il covid nell'ospedale da campo a Crema, in Lombardia.

La nuova Brigata medica del contingente “Henry Reeve”, che opera da anni con successo praticamente in ogni angolo del globo sul fronte dei disastri naturali e contro le epidemie arriverà domani per Pasquetta all’aeroporto di Caselle: l'equipe composta da medici e infermieri collaborerà con i colleghi piemontesi nella gestione dell’ospedale da campo che sta sorgendo alle Officine Grandi Riparazioni di Torino.

Saranno 38 gli operatori sanitari inviati dal Ministero della Salute di Cuba che ha raccolto l’appello lanciato tramite l’ambasciata cubana in Italia dal governatore piemontese, Alberto Cirio.

Tra di loro ci saranno 21 medici e 16 infermieri, oltre a un coordinatore logistico. Opereranno gratuitamente in Piemonte fino a quando non sarà cessata l’emergenza.

Dalle agenzie di stampa si apprende poi che Lavazza e la Fondazione Specchio dei Tempi, su richiesta della Regione Piemonte, avrebbero dato la loro disponibilità a sostenere le spese relative al loro arrivo noleggiando un Boeing poiché i medici sarebbero fermi in queste ore a L'Avana per la totale assenza di voli verso l'Europa.

La nostra riconoscenza va innanzitutto a Cuba e agli operatori sanitari che hanno accettato di aiutare il nostro territorio in un momento così difficile – ha riferito il governatore Cirio.

Tra le prime a esprimere i propri ringraziamenti, poi, l'Associazione Nazionale d'Amicizia Italia Cuba: “Ringraziamo il suo governo e il suo popolo per questo grande gesto di solidarietà, umanità e altruismo in una drammatica emergenza sanitaria mondiale che ha colpito anche Cuba”

Attualmente contingenti medici cubani sono impegnati nel contrasto alla pandemia anche in diverse zone del centro e sud America e nel continente africano.

Cuba ha dato la disponibilità dei suoi specialisti anche ai paesi oltremare della Francia e un altro team medico è attualmente a lavoro nel Principato di Andorra.

L’esperienza internazionale medica cubana ha avuto inizio nel 1960, quando il primo gruppo di professionisti della sanità partì per il Cile a seguito di un devastante terremoto

Attualmente, ammontano a più di 50.000 (di cui la maggioranza volontari) i cooperanti cubani, sotto le più svariate forme di collaborazione in campo sanitario ed educativo circa 67 i paesi che sono stati interessati.

Per comprendere meglio il servizio che i medici cubani rendono ogni giorno al mondo, basti ricordare le parole pronunciate nel 2010 dal presidente haitiano Renè Preval: “Sappiamo che l’internazionalismo di Cuba non reclama benefici”.

Nel 2010, infatti, subito dopo il terremoto, Haiti era stata colpita da una terribile epidemia di colera che dalla regione di Sant Marc si era diffusa in diverse zone del paese, contagiando almeno 150.000 persone e uccidendone a migliaia. In tale occasione Cuba è stato uno dei primi paesi a inviare personale sanitario, i cui meriti nel contrasto all’epidemia sono stati riconosciuti, oltre che dalle istituzioni haitiane, anche dal vice rappresentate speciale per la Missione di Stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti, Mourad Wahba

Il contributo più rilevante però è stato fornito in Africa, dove i medici cubani hanno dato un apporto decisivo nel contrasto all'epidemia di ebola: in quell'occasione il New York Times, in un suo editoriale fu tra i primi media occidentali a mettere in risalto il cruciale ruolo di Cuba

Non mancarono ad arrivare anche l’apprezzamento e la gratitudine da parte dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità (O.M.S.), la quale in una conferenza stampa ringraziò pubblicamente il Paese per il suo contributo, auspicando che altre nazioni potessero seguire il suo esempio.

In definitiva, quanto fatto in Africa e in altre parti del mondo dai cubani è stato a dir poco encomiabile. Non per niente nel 2015 la Conferenza annuale dei sindacalisti della Norvegia, riunita a Trondheim, propose all'unanimità come candidato al Nobel per la pace, proprio la brigata medica “Henry Reeve”.

Eppure nonostante questo, nonostante tanti sforzi espletati, l'internazionalismo e le campagne umanitarie profuse, paradossalmente proprio Cuba continua ad essere da quasi sei decenni vittima del blocco economico-finanziario degli Stati Uniti: il sistema di sanzioni che qualcuno ha definito il più ingiusto, grave e prolungato di tutti i tempi di un paese contro un altro

L’embargo è il principale ostacolo allo sviluppo di tutte le potenzialità dell’economia cubana. Rappresenta per l’isola sia un freno all’attuazione dei propri piani di sviluppo nazionale economico e sociale, che dei suoi obiettivi di sviluppo sostenibile. È il principale impedimento allo sviluppo di relazioni economiche, commerciali e finanziarie di Cuba con gli Stati Uniti e a causa della sua natura extraterritoriale, con il resto del mondo.

Le sanzioni economiche penalizzano fortemente l’accesso al credito delle aziende cubane, compromettono il rinnovamento tecnologico e lo sviluppo industriale e finanziario; costituiscono un forte deterrente al commercio estero in particolare per le esportazioni dei prodotti agricoli quali tabacco, frutta, zucchero, caffè e miele.

E a risentirne non è solo l'economia, ma anche la sanità. A causa dell'embargo è molto difficile acquistare attrezzature, forniture e medicine. Cuba tutt'ora anche in piena pandemia, è costretta ad approvvigionarsi in mercati lontani, con costi che raddoppiano o triplicano e commissionando spedizioni che in molte occasioni arrivano in ritardo.

Come spiega Nestor Marimon, direttore delle relazioni internazionali del Ministero della Salute cubano, “ il Ministero della Sanità ha perso $ 160 milioni tra aprile 2019 e marzo 2020 a causa delle sanzioni, $ 60 milioni in più rispetto all'anno precedente”.

Le sanzioni statunitensi – riferisce- mettono a dura prova le transazioni essenziali legate alla lotta contro il coronavirus. Proprio la scorsa settimana, la consegna dei kit di test e dei ventilatori Covid-19 donati dal fondatore di Alibaba Jack Ma è stata interrotta poiché la società temeva di infrangere l'embargo.

Un embargo questo “illegale” nel senso letterale del termine: da ormai quasi trent'anni, infatti l’Assemblea Generale dell’ONU mette ai voti un progetto di risoluzione che chiede la sospensione del blocco statunitense contro Cuba. Dal 1992, l’iniziativa ha avuto il sostegno maggioritario nel principale organo decisionale delle Nazioni Unite.

Da ultimo la risoluzione votata lo scorso novembre è stata approvata dalla quasi totalità delle nazioni aderenti con due paesi astenutisi e solo tre i voti contrari, ossia quelli di USA, di Israele e del Brasile di Bolsonaro. Una risoluzione che tuttavia rappresenta una misura “di fatto” non vincolante che già in passato non ha avuto alcun impatto sulla condotta degli Stati Uniti. A maggior ragione guardando gli sforzi che Cuba ha fatto e sta facendo per aiutare l'Italia e il mondo, occorrerebbe una presa di posizione forte del nostro Paese e dell'Europa intera per la rimozione del bloqueo.







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