Carlo Formenti - La propaganda per il MES del Corriere spiegata facile


di Carlo Formenti* - Micromega

29 giugno 2020

Corriere della Sera di lunedì 29 giugno. La consueta vignetta di Giannelli ritrae la Merkel in veste di oculista che indica con una verga le tre fatidiche lettere M E S sul cartellone al “paziente” Giuseppe Conte, il cui sguardo non mette a fuoco le lettere bensì la mano che impugna la verga (Giannelli ce lo fa capire con un artificio grafico, cioè con il classico balloon che gli autori di fumetti usano per spiegarci cosa pensa un personaggio). E se qualcuno è così tonto da non cogliere l’allusione, a chiarirgli le idee provvede il titolo di apertura che sovrasta la vignetta: “Il Pd avverte il governo”, mentre il sottotitolo ospita una citazione dall’intervista a Zingaretti che il lettore trova a pagina 9 (“Basta tergiversare sul MES”).

In poche parole, il primo quotidiano italiano, che da settimane batte con insistenza ossessiva sulla necessità di accettare senza se e senza ma il “generoso” prestito che la Ue a trazione tedesca ci offre per fronteggiare gli effetti della pandemia, tira un sospiro di sollievo perché il segretario del partito che ha scelto di sponsorizzare in questa fase della nostra vita politica ha finalmente deciso di fare la voce grossa (il Corriere non sceglie mai a caso chi appoggiare: si proclama “quotidiano indipendente” perché ha un solo vero padrone, cioè il capitale e i suoi interessi; quanto ai partiti non ha particolari preferenze ideologiche: opta di volta in volta per quello che incarna meglio quegli stessi interessi).


Finalmente quella pappa molla di Zingaretti, ci dicono all’unisono titolo, vignetta e intervista, mette in mostra gli attributi e fa la faccia feroce con Conte e l’M5S i quali tentennano, per paura che l’elettorato li chiami prima o poi a rendere conto del fatto che si sono piegati senza opporre la minima resistenza ai diktat del dominus di Berlino (non tanto per orgoglio nazionale, che nel nostro popolo non è mai stato particolarmente sviluppato, quanto perché – memori del destino toccato ai Greci – intuiscono, magari confusamente, che rimettersi nelle mani dei padroni d’Europa comporta un prezzo elevato).


Ma è inutile farsi illusioni: ci piaccia o meno la verga ce l’ha in mano la signora Merkel che, emula della lady di ferro Tatcher, quando si arriva al dunque sa dire senza mezzi termini There is non alternative: o mangi la minestra o ti prendo a vergate perché il potere è tutto nelle mie mani. E a spiegarlo meglio provvede un articolo di Danilo Taino a pagina 28 (“L’eccezione della Germania: sarà più forte in Europa), il quale ci spiega che “l’Europa del futuro sarà significativamente più tedesca”. Ancora più di quanto non lo sia adesso? Qualcuno potrebbe chiedersi sgomento. Ebbene sì scrive Taino, perché loro hanno contenuto meglio il virus e stanno sostenendo meglio la loro economia, e perché (ma qui Taino si allarga un po’ troppo nel manifestare il suo zelo germanofilo) è un Paese che uscirà meno peggio dalla crisi di Stati Uniti e Cina, per cui “una forte reputazione globale della Germania riverberà sui rapporti di potere nella Ue”.


Ma il potere della Germania nella Ue non ha bisogno di basarsi sulla reputazione, in quanto è saldamente fondato sui rapporti di subordinazione che è riuscita a instaurare, con l’appoggio della Francia e dei Paesi nordici, nei confronti dei Paesi dell’Est e del Sud Europa. Né la reputazione le basterà a realizzare il sogno di rivaleggiare con gli Stati Uniti e con la Cina, perché quel sogno è destinato a rimanere tale, considerata la dismisura dei rapporti di forza geopolitici fra le forze in campo (l’incapacità di tenerne conto ha causato la rovina della Germania in occasione delle due guerre mondiali del Novecento).


Tuttavia questa insistenza sulla reputazione come fattore strategico (una eco delle tesi americane sul soft power) nei rapporti di forza internazionali è rivelatrice: non a caso Taino e i suoi colleghi appartengono alla corporazione deputata a costruire la “reputazione” (buona e cattiva) come arma ideologica. A costruire, per esempio, l’italico autodisprezzo (senza un vincolo esterno, una mano ferma che ci guidi, sappiamo solo accumulare debiti), o a costruire l’odio anticinese, per cui si parla a profusione degli insalubri mercati del celeste impero, ma si sorvola sul mattatoio teutonico che processa 20.000 suini al giorno, e nel quale lavorano legioni di immigrati polacchi e rumeni che dormono in stanzette con i letti a castello (dove si contagiano a migliaia) e vengono trasportati sul luogo di lavoro da caporali come quelli che qui da noi portano gli africani sui campi del Sud. Poi c’è chi ha la faccia di bronzo di parlare di concorrenza sleale delle industrie cinesi che non rispettano gli standard in materia di tutela del lavoro…


*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore

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