Paesi frugali o Stati canaglia?


di Andrea Zhok*


In questi giorni, nella scia delle discussioni sul Recovery Fund e dei veti dei "paesi frugali" è emersa prepotentemente sui media italiani la torrida questione dei 'paradisi fiscali' interni all'Unione Europea. Si è scoperto (nel senso che anche i media nazionali accreditati lo hanno ufficializzato) che paesi come Olanda, Irlanda, Lussemburgo, Cipro e Malta ottengono una grande parte dei propri introiti relativi alla fiscalità d'impresa grazie all'adozione di regole accomodanti, di una sorveglianza omissiva su transazioni finanziarie poco trasparenti e di accordi speciali al massimo ribasso fiscale.

Da soli Olanda e Lussemburgo ospitano quasi metà degli 'investimenti fantasma' nel mondo, cioè di investimenti apparenti che entrano ed escono dal paese attraverso strutture artificiali in modo da eludere la tassazione dei paesi in cui operano fisicamente. Ovviamente queste operazioni avvengono con una significativa trattenuta da parte degli operatori nei paradisi fiscali. Introiti sia pure drasticamente ribassati, ma provenienti da un gran numero di agenti economici, sono un'altra importante fonte di reddito per i paradisi fiscali. A ciò si aggiunge l'enorme indotto delle relative attività immobiliari, amministrative e finanziarie collocate sul proprio territorio.

A favore dei paradisi fiscali interni l'Italia perde il 19% degli introiti fiscali delle imprese, la Germania il 28%, la Francia il 24%.

Ora le domande interessanti qui sono 3.

La prima è: per quali motivi indicibili grandi paesi come Italia, Germania e Francia tollerano di perdere anno dopo anno quantità massive di introiti fiscali, chiudendo ambedue gli occhi?

E la risposta (pubblicamente indicibile) è: perché i ceti politici che rappresentano i popoli europei presso le istituzioni europee sono in buona parte finanziati da, contigui o cointeressati a quegli stessi poteri economici che di queste operazioni di grande elusione internazionale si giovano.

La seconda domanda è: per quali motivi ufficiali tutto ciò è stato da sempre ammesso legalmente e tollerato? Questa domanda è essenziale, perché dopo tutto in Europa siamo tutti paesi democratici e ci vogliono ragioni pubbliche che possano funzionare per gruppi più estesi di coloro i quali direttamente ne beneficiano.

E la risposta qui è schiettamente ideologica: la mitologia della competizione fiscale illimitata come apportatrice di efficienza e benefici generalizzati è alla radice dell'impianto neoliberale che dominava incontrastato negli anni in cui si sono poste le basi giuridiche dell'Unione Europea.

Quell'impianto nel tempo ha perduto in parte di autorità, tuttavia esso fornisce ancora argomenti più che sufficienti alle tecnocrazie europee per bloccare ogni tentativo di riforma. In ciò gioca naturalmente un ruolo importante il carattere blindato di buona parte della normativa europea, che non è modificabile se non con votazioni all'unanimità (campa cavallo).

E la terza domanda è: per che motivo questo schifo va avanti da vent'anni e i nostri giornali si sono svegliati solo ieri mattina? Per quale motivo chi sollevava questi temi fino a tempi recenti veniva tacciato di essere un orrido antieuropeista, quando non (tappate le orecchie ai bambini) un "sovranista"? Quale immagine di patto sociale hanno in mente i nostri grandi media nazionali, dove vengono lanciati i cani all'inseguimento di chi ha scordato uno scontrino fiscale, mentre colossi multinazionali possono eludere quanto vogliono, con il plauso commosso del Consiglio Europeo?

L'equivoco peloso di chiamare 'europeista', e di toccare le corde sentimentali dei 'valori europei', di fronte ad un ordinamento normativo che spreme fiscalmente chi vive del proprio lavoro, mentre premia l'evasione ed elusione transanzionale è sempre più inaccettabile.

In Italia e in Europa ci sono tantissimi cittadini che provano simpatia e ammirazione per altre culture e altri territori europei. Sono 'europeisti' nell'unico senso non tossico del termine. Ma le istituzioni e le normative europee sono costruite in modo da alimentare la competizione illimitata (e l'ostilità) tra europei. Dunque i veri antieuropeisti, i veri nemici di ogni idea dignitosa di Europa sono tutti quelli che per decenni hanno messo sotto il tappeto il carattere neoliberale delle istituzioni europee, e che hanno alimentato scientemente un'intraeuropea guerra tra poveri (tutti i paesi hanno i loro poveri).

La lotta per una "Europa dei popoli" non si fa sparacchiando accuse di sovranismo, sciovinismo, arretratezza culturale, provincialismo verso chi ha la crescente, e giustificatissima, sensazione di essere stato fregato dal 'progetto europeo'.

Volete essere davvero europeisti? Meno inni alla gioia e più critiche serrate di come funziona davvero l'UE, di chi guadagna e chi perde e perché. Così che non succeda più che uno possa sentir parlare ancora di 'paesi frugali' senza riso e sdegno.


*Professore di Filosofia Morale all'Università di Milano

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