Usa, una profonda crisi può determinare un cambio di colore alla Presidenza (ancora una volta)


di Guido Salerna Aletta - Teleborsa

Lo sanno tutti: le crisi economiche e finanziarie si ripetono ciclicamente, è la malattia endemica del capitalismo a provocarle.

Chi si accontenta di questa spiegazione ha ben ragione, ma forse potrebbe incuriosirsi per qualche circostanza politica americana che le accompagna con impressionante regolarità.


Se una crisi non basta a correlare il cambio politico alla Presidenza degli Usa, e se due crisi possono essere considerate come coincidenze casuali, quando si arriva alla terza che deflagra sempre nell'imminenza ovvero a poche settimane da una svolta clamorosa nella politica americana, vale la pena soffermarsi a ragionare.


E' la quarta crisi mancante, infatti, a suscitare la domanda più inquietante: viene da chiedersi perché mai in America non ci fu nessuna recessione economica o l'esplosione di alcuna bolla finanziaria quattro anni fa, quando Donald Trump si trovò a sfidare, da novizio della politica e poco amato nello stesso GOP, la erede designata nel campo democratico, la Hillary Clinton data vincente da tutti i sondaggi, già First Lady, Vice Presidente e Segretario di Stato con Barack Obama.


Il passaggio di mano, tutto nel campo democratico, sarebbe avvenuto senza scossoni: fu l'improvvisa ed inattesa apparsa di Donald Trump a scombinare le carte: vinse contro ogni pronostico, con lo slogan: "Make America Great Again".


I detrattori di Donald Trump non si sono mai arresi: lo hanno criticato in ogni modo e per loro la prospettiva di vederlo rieletto nel 2020 è una prospettiva agghiacciante: una crisi economica, sociale, finanziaria sarebbe stata indispensabile per azzoppare la sua corsa alla rielezione, che fino a gennaio scorso sembrava inarrestabile. La recessione profondissima, inattesa ed improvvisa, che è stata determinata dalla epidemia di Covid-19, che è partita dalla Cina e che ha maramaldeggiato nell'intera Europa prima di travolgere l'intero continente americano, ha finalmente messo in difficoltà The Donald.


A partire dall'inverno scorso, a causa dell'epidemia, la lunga e robusta crescita economica che aveva caratterizzato i primi tre anni della Presidenza Trump si è dissolta come neve al sole: se l'ultimo anno è cruciale per la rielezione, gli ultimi mesi sono decisivi. Il suo avversario in campo democratico Jo Biden, già Vice di Obama nella seconda Amministrazione, è pronto a raccogliere i voti dei milioni di disoccupati che la crisi ha determinato.


Ancora una volta, una profonda crisi negli Usa può determinare un cambio di colore alla Presidenza o può mettere in grande difficoltà il successore.


Accadde così a Bush Jr. che nel 2001 subentrò a Bill Clinton: la bolla del Nasdaq, esplosa a poche settimane dall'insediamento, polverizzò miliardi di dollari di capitalizzazione. Era stata gonfiata da anni, consapevolmente, per dare l'illusione di benessere e ricchezza. Clinton era già al secondo mandato e non poteva essere rieletto. La deflagrazione era imminente: migliaia di aziende della New Economy americana, tanto pompata da Clinton, fallirono miseramente. La vituperata Old Economy era il futuro regalato alla Cina, fatta entrare nel Wto a condizioni estremamente vantaggiose.


Bush Jr. ebbe poi la sventura dell'attentato alle Torri Gemelle, nel settembre dello stesso anno. Solo le spese di guerra e l'enorme credito erogato a chi non se lo poteva permettere fecero crescere l'economia americana: la nuova bolla era pronta a scoppiare. La detonazione fu provocata dallo stesso Bush, che si rifiutò di salvare la Lehman Brothers: non potendosi ricandidare per un terzo mandato come era accaduto nel suo scontro con Clinton nel 2010, sapeva che John McCain, il candidato repubblicano, sarebbe stato sonoramente sconfitto da Barack Obama.



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