Le "euronews" filo-ucraine sul Donbass



di Fabrizio Poggi

A distanza di nemmeno una settimana dalle sue prime esternazioni, David Žvania, il banchiere di origine georgiana (è cittadino ucraino dal 1999) ed ex alleato di Petro Porošenko, che si era auto-definito “ex membro del gruppo criminale” capeggiato dall'ex presidente ucraino che nel 2013-2014 aveva alimentato le violenze del majdan per il rovesciamento del potere e l'arricchimento personale del gruppo stesso, è tornato a parlare. E questa volta ha chiamato direttamente in causa la Procura generale ucraina che, dice, avrebbe ignorato la sua precedente denuncia e la sua dichiarazione di voler testimoniare nel processo per corruzione in corso a carico di Porošenko: Žvania parla di 3,4 miliardi di dollari dirottati dall'ex presidente verso proprie società offshore.


Il “gruppo” citato da Žvania sarebbe stato composto “da Vitalij Kli?kò, Arsenij Jatsenjuk, Aleksandr Tur?inov – rispettivamente sindaco di Kiev, ex Primo ministro ed ex primo Presidente ad interim dell'Ucraina golpista - e altri” che, tutti insieme, avevano “finanziato majdan, alimentato gli umori di protesta sui media, contrastato le iniziative di pacificazione del governo di Nikolaj Azarov, negoziato con ambasciate straniere". Insieme a Pavel Klimkin (all'epoca ambasciatore in Germania e poi Ministro degli esteri con Porošenko) Žvania aveva detto di aver brigato per “il trasferimento di 5 milioni di euro, attraverso l'ambasciata ucraina a Berlino, a un funzionario europeo di alto livello, perché fosse garantito il sostegno UE a Porošenko come candidato alla presidenza”.


Nel suo primo comunicato, Žvania aveva detto che l'obiettivo iniziale del gruppo era solo quello di “controllare i flussi di denaro e non quello di rovesciare il governo”. Ma poi, nel gennaio 2014, avevano deciso di puntare alla posta massima: la “completa eliminazione del presidente eletto. Volevamo ottenere tutto, realizzare un colpo di stato. E l'abbiamo fatto”.


Nella seconda dichiarazione, Žvania ha detto di poter produrre prove documentali che “soldi e armi erano arrivati dall'ambasciata lituana” alla banca “Diamantbank” (di cui Žvania è uno dei proprietari), quale tramite del flusso di aiuti materiali euro-americani ai golpisti di Kiev.


Porošenko ha ovviamente accusato l'ex alleato di “legami con Mosca”, e lui ha contrattaccato affermando che, a differenza di quanto comunicato dai media, al momento Porošenko non è affatto in Turchia in vacanza, “bensì per uno scopo ben preciso: in Turchia opera la “Rocket Sun”, che produce droni da combattimento. L'impresa è controllata da Porošenko e dal suo sodale Gavlovskij-Svinar?uk; il direttore è un cittadino americano; i droni usciti dalla “Rocket Sun” hanno preso parte alle operazioni in Siria e Nagorno-Karabakh, con operatori ucraini”. Ora, ha detto Žvania, l'accordo sul completo cessate il fuoco nel Donbass, entrato in vigore il 27 luglio, è molto svantaggioso per Porošenko, il cui rating si mantiene sulla guerra. Dunque, egli “non è affatto in vacanza in Turchia, ma sta organizzando una provocazione, per minare il processo di pace. Dato che non è in grado di ordinare ai militari di violare il cessate il fuoco, intende usare droni e operatori” a lui obbedienti. Anche se, già così, i comandi al fronte agiscono secondo i propri intendimenti, seguendo più gli orientamenti dei reparti nazionalisti e neonazisti, che non le direttive ufficiali di Kiev. Un Porošenko che si dà apertamente da fare per la guerra, riduce ancor più le già misere chances di Vladimir Zelenskij di mantenersi a lungo sulla poltrona presidenziale. In effetti, come c'era da aspettarsi, l'accordo scattato il 27 luglio, sulle concrete misure supplementari per il rispetto del cessate il fuoco a tempo indeterminato – entrato in vigore il 21 luglio 2019 e mai rispettato da Kiev: l'esatto opposto di quanto scrivono gli “euromedia” ossequiosi dei golpisti ucraini – è già stato violato in più di un'occasione dalle forze ucraine, che anche nelle ultime ventiquattro ore hanno aperto il fuoco contro il villaggio di Jakovlevka, nella Repubblica popolare di Donetsk, mentre continuano a dislocare mezzi blindati a ridosso dei centri abitati, in violazione degli accordi di Minsk. Reparti ucraini hanno anche, in varie occasioni, messo fuori uso le stazioni di comando dei droni della missione di monitoraggio OSCE, per impedire l'identificazione dei propri mezzi militari dispiegati nelle aree vietate. Contro la DNR, forze ucraine e reparti nazionalisti (“Ajdar” e “Donbass”, ad esempio) in forza a quelle, per non essere accusate di uso delle armi, sono ricorse all'incendio di legname in prossimità dei villaggi di Krasnogorovka e Staromikhajlovka, minacciando le abitazioni civili. Nella Repubblica popolare di Lugansk, le truppe di Kiev hanno bersagliato con lanciagranate e razzi il villaggio di Golubovskoe.


“Siamo convinti che l'aumento dei tiri ucraini” dicono nella LNR, sia “direttamente legato al diritto concesso da Kiev ai militari, di decidere autonomamente sul campo. Non a caso, sul sito ufficiale del Ministero della difesa ucraino, è stato modificato il testo della dichiarazione sull'attuazione degli accordi raggiunti il 22 luglio”. Molto probabilmente, ciò è avvenuto sotto la pressione delle organizzazioni nazionaliste e neonaziste che non si sottomettono a Kiev e anzi accusano il presidente Zelenskij di “tradimento della patria” per l'accordo sul cessate il fuoco.


Il 30 giugno, intanto, l'ex primo presidente dell'Ucraina “indipendente”, quel Leonid Krav?uk che, insieme a Boris Eltsin e Stanislav Šuškevi? aveva sottoscritto nel dicembre 1991 gli accordi che mettevano fine anche formalmente all'Unione Sovietica, ha preso il posto dell'ex secondo presidente ucraino, Leonid Ku?ma, a capo della delegazione ucraina al Gruppo di contatto di Minsk. Dal momento che quest'ultimo non è riuscito a venir a capo del compito affidatogli, cioè stravolgere a vantaggio di Kiev gli accordi di Minsk del 2015, tocca ora a Krav?uk portare l'affondo contro una seria prospettiva di pace in Donbass. Ha cominciato, scrive l'agenzia Regnum, col presentare a Mosca, Londra e Washington un conto di 300 miliardi di dollari che, a suo dire, servirebbero per il ripristino materiale del Donbass e di cui le tre capitali sarebbero debitrici a Kiev, quali firmatarie del memorandum di Budapest del 1994, con cui l'Ucraina smantellava il proprio arsenale nucleare che, secondo Krav?uk, avrebbe oggi appunto un valore di 300 miliardi di $. Non sembra che il “primo indipendentista” d'Ucraina abbia specificato cosa intenda per ripristino del Donbass, come intenda attuarlo, a quali “ragazzi e ragazze che stanno versando sangue per la sovranità del paese” si riferisse, quando ha affermato di voler “accelerare la pace in Donbass” e di “farlo fino all'ultimo respiro”.


Si potrebbe domandare, sia all'ex deputato (e anche ex Ministro, nel 2005, per le situazioni d'emergenza nel governo di Julija Timošenko) David Žvania, che, di punto in bianco, solo ora ha preso coscienza di aver fatto parte di un “gruppo criminale capeggiato da Petro Porošenko”, sia all'ex primo presidente Leonid Krav?uk, dove siano stati in tutti questi sei anni, durante i quali Kiev ha terrorizzato il Donbass, lasciando mano libera ai nazisti dei “battaglioni volontari” che torturavano e uccidevano i civili delle Repubbliche popolari. Si potrebbe chieder loro se, per caso, all'improvviso non temano per il proprio futuro e abbiano perciò deciso di approntare dei propri “piani B” si salvezza personale. Non pare di ricordare che, tanto Žvania, quanto Krav?uk, siano stati in passato così “in ansia” per le sorti del popolo ucraino affamato dalle imposizioni tariffarie di FMI e Banca Mondiale e dalle lotte tra i clan affaristico-criminali per la spartizione degli “aiuti europei”, e nemmeno fossero addolorati per “il sangue versato dai nostri ragazzi”, quando, ad esempio, nel 2014, la “martire bionda” dell'Occidente, Julija Timošenko, voleva bombardare il Donbass con le atomiche. Cosa hanno detto in passato, e cosa dicono oggi, Žvania e Krav?uk, dell'interesse molto materiale per le ricchezze del Donbass, che hanno spinto UE e USA a scatenare il majdan e a continuare a sostenere la guerra di Kiev contro le Repubbliche popolari?


Finché Bruxelles e Washington, e i loro “euromedia“ continueranno a scrivere che il conflitto nel Donbass (per carità, non sia mai che le euronews ricordino come l'aggressione ucraina fosse iniziata con i bombardamenti aerei su Lugansk e Donetsk, o che si dica una parola sulle stragi naziste degli antifascisti a Odessa e Mariupol: iddio ce ne scampi da simili “fakenews”!) era “esploso nel 2014 dopo l'annessione della Crimea da parte della Russia”, i golpisti con la croce uncinata di Kiev possono rimanere tranquilli, con buona pace di David Žvania e Leonid Krav?uk.

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