Molta gente in Italia si stupisce ancora per metodi e procedure adottati da Matteo Renzi e dalla sua corte di traffichini di contado. Noi a Firenze abbiamo fatto da cavie alla sua ascesa e possiamo rimarcare un elemento che ci sembra sia sfuggito a molti: tutta la carriera del personaggio è stata costruita sulla gestione del "fuoco amico" contro i suoi compagni di partito. Questo è stato l'elemento essenziale e per certi aspetti quasi unico del suo successo. Non riusciamo a ricordare una sola frase pronunciata contro Berlusconi, che andava a riverire ed omaggiare ad Arcore, tutt'al più criticato talvolta perché "vecchio", al pari di tutta la politica italiana interpretata secondo le categorie idiote del giovanilismo più ruspante.
Da D'Alema a Veltroni, a Franceschini, a Bersani, fino a Enrico Letta e ora a Conte: tutta la carriera del personaggio è costruita sullo sgomitamento quotidiano e sulla pugnalata finale verso i suoi compagni di partito o di coalizione.
Il suo successo apre molti interrogativi. Da un lato rivela l'insofferenza diffusa nella cosiddetta "base" nei confronti di dirigenti considerati responsabili delle sconfitte: il mantra "con Renzi si vince" è stato l'elemento di traino per la confluenza di molti vecchi e nuovi militanti divenuti rapidamente marmaglia renziana anziché base di un partito che vantava la confluenza di tradizioni nobili seppure corrotte e divenute quasi irriconoscibili. Sembrò avverarsi nel 2013, nell'arco breve che andava dalla sua conquista del potere al sorprendente voto delle europee. Poi la sua fortuna prese a declinare fino a spegnersi. Oggi con Renzi non si vince, tutt'al più si vivacchia, per chi ha legato le sue sorti alla banda di famelici traffichini e di affaristi che costituiscono il famoso "giglio magico".
Dall'altro lato, la sua parabola è rivelatrice del corrompimento senza ritorno di una base popolare di nobili tradizioni, che si ridusse ad osannare il più spregevole e vuoto demagogo mai arrivato al potere nella storia repubblicana.
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