Tra stretta giudiziaria e mediatica: il countdown per la sostituzione di Renzi con Draghi è partito


di Cesare Sacchetti

Il cammino che era stato spianato dal coro unico dei media attorno a Matteo Renzi comincia a restringersi. E’ di questi giorni la notizia che il padre del premier è indagato per bancarotta fraudolenta a Genova nell’ambito di un’inchiesta relativa al fallimento della società di distribuzione Chill Post. Seconda tegola giudiziaria per la famiglia Renzi che si aggiunge a quella che vede lo stesso premier rinviato a giudizio dalla Corte dei Conti per danno erariale quando il premier era ancora Presidente della Provincia di Firenze.
Alla stretta giudiziaria si accompagnano le prime crepe in quel blocco mediatico compatto che rassicurava sull’imminente ripresa che sarebbe dovuta scaturire da riforme di carattere amministrativo e non di stimolo della domanda aggregata, della quale ci sarebbe disperatamente bisogno, con il secondo auspicio in poco più di un mese da parte di Eugenio Scalfari di un controllo esterno e sovranazionale dell’economia italiana, ricordando a Renzi il consiglio, che assomigliava più a un fosco presagio, venuto da Draghi di “prepararsi a una cessione di sovranità”. Lo stesso Draghi che lo scorso agosto ha incontrato segretamente Renzi a Città della Pieve, dove forse il Presidente della BCE ha dato un avvertimento al Premier sull’imminente cambio di gestione che lo vedrà suo malgrado protagonista, per lasciare spazio al famigerato triumvirato che avrà il compito di attuare quel massacro sociale ancora più imponente che solamente poteri sovranazionali e stranieri hanno il pelo sullo stomaco per fare, di nuovo appoggiati dall’ennesima giravolta dei media italiani già pronti ad adeguarsi alle direttive piovute dall’alto.

Un Renzi che aveva promesso riforme strutturali nei primi 100 giorni, come la riforma elettorale ancora chiusa nel cassetto, per poi annunciare un deciso cambio di passo anche nell’economia facendo registrare un risultato peggiore del Governo Letta con un calo dello 0,4 di PIL, fino ad arrivare a chiedere 1000 giorni per poter dare l’impronta definitiva del cambiamento. Quindi siamo passati da un’annunciata riforma al mese, ad un traguardo spostato di ben 3 anni, con il Premier che dimostra una smodata passione per i multipli di 10 e la sua stessa maggioranza che comincia a scricchiolare con l’ex premier Bersani che evidentemente non ha mai digerito lo sgambetto fatto da Renzi per l’elezione di Marini a Presidente della Repubblica, e aspetta pazientemente sul greto del fiume per una resa dei conti tra le frange in lotta nel PD che vedrà vittima ancora una volta il Paese, con una democrazia sospesa ad libitum da Napolitano che mostra di odiare questa forma di governo, impedendo quell’appuntamento elettorale che restituirebbe al popolo la facoltà di scegliere liberamente il proprio destino.

Perciò Renzi forse ha compreso che sarà accantonato in malo modo dagli stessi apparati di potere che lo hanno catapultato sulla poltrona di Palazzo Chigi e deve compiere una corsa contro il tempo affrettandosi ad eseguire al più presto quella riforma del lavoro che le forze mercantilistiche reclamano perentorie per partorire l’abrogazione dell’art.18 in modo da abbattere l’ultima protezione rimasta al mercato del lavoro, già da tempo precarizzato e indebolito dalle precedenti Leggi Treu e Biagi.

Non basteranno le maschere cambiate dal premier costantemente per darsi un’aria di simpatia e umanità e che lo hanno reso innocuo agli occhi del grande pubblico, forse ammaliato e stordito da un’incessante fuoco visivo che ha descritto l’uomo della Leopolda come l’homo novus della politica italiana, un’immagine che sta pian piano scemando per rivelare l’effettiva pericolosità di un personaggio creato in vitro per costruire un emulo di Berlusconi e poter conquistare così l’elettorato moderato indispensabile ai fini del consenso elettorale che la sinistra non riusciva a catturare.

Se Renzi vorrà effettivamente farcela dovrà prima andare contro il suo stesso partito, non in termini ideologici o di contenuti, perché è bene ricordare che non c’è un conflitto di posizioni tra schieramenti per affermare un programma politico rispetto ad un altro, ma un mero corpo a corpo opportunistico tra la vecchia nomenclatura del Nazareno che non ha mai digerito l’imposizione di un “esterno” non appartenente ai suoi ranghi e l’iniezione di renzismo imposta a fondo nel partito e nelle sue fila che cinicamente come hanno fatto in passato salgono su quello che sembra essere il carro vincente, e se questo non poi non dovesse arrivare a destinazione sono pronte ad abbandonarlo in corsa.

Dove termini la sete di potere e dove inizi l’incoscienza temeraria di voler a tutti i costi ricoprire cariche di governo con il solo scopo di eliminare “il grasso che cola della spesa pubblica” che in realtà rappresenta il midollo e la struttura portante di un paese all’avanguardia nei diritti sociali , lo lasciamo giudicare ad altri più profondi conoscitori della natura umana. Noi possiamo solamente limitarci a constatare come l’informazione abbia avuto e tuttora ricopra un ruolo centrale nella fabbricazione di personaggi nulli e inconsistenti con il solo scopo di eseguire quel piano sconosciuto ai più di erezione degli Stati Uniti d’Europa fondati sul culto del libero mercato che ha permeato ogni aspetto della vita quotidiana alterando gli equilibri economici che la nostra economia basata su un modello misto, forse il più virtuoso tra le varie scuole economiche, e con frontiere liquide che non consentono più da tempo il controllo del territorio. Tutto questo forse Renzi non lo sa e non gli importa granché di quello che la sua presenza e il suo ruolo significhino in questa partita per la conservazione dei valori e della dignità costituzionale, ma perlomeno si sarà guadagnato poche righe nei libri di storia venendo ricordato come l’uomo che ha spalancato le porte alla Troika.

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