La Francia indica la via: ecco perché l’Italia può uscire dal Trattato di Maastricht


di Cesare Sacchetti
Nell’Europa degli interessi e dell’austerità sociale, se avrete la sfortuna di essere italiani, ciprioti o greci conterete meno del due di coppe e dovrete allinearvi senza discutere a tutti gli ordini e direttive che calano da Bruxelles con buona pace dell’integrazione forzata europea che doveva valorizzare l’importanza e il peso dei singoli stati. Se invece siete francesi o addirittura tedeschi, potrete ancora dire la vostra e quando lo riterrete più opportuno e necessario per i vostri interessi nazionali potrete violare i Trattati, senza avere timore di conseguenze particolari, visto il ruolo e l’importanza che ricoprite nel processo decisionale e non sarete disposti molto probabilmente a suicidarvi in nome dell’austerity.
La Francia si ricorda di essere la Francia e ieri per bocca del suo Ministro delle Finanze ha annunciato che non rispetterà il famigerato parametro del 3% di deficit sul PIL, prescritto nel Trattato di Maastricht, ma lo supererà di più di un punto percentuale. Si tratta di una violazione dichiarata ed esplicita di un trattato internazionale, e non è la prima volta che accade, basti ricordare che la Germania violò per ben 3 volte consecutive questa prescrizione dal 2003 al 2005, anche se qui la memoria teutonica avrebbe bisogno di essere rinfrescata perché all’epoca non predicava affatto né rigore né austerità, per passare alle violazioni della Francia con il 7% di deficit nel 2009, fino a quelle della Spagna nel 2010 con il 9,27%.
Dal punto di vista del diritto internazionale l’Italia ratificando il Trattato di Maastricht ha aderito ad un accordo multilaterale. La vita di qualsiasi trattato o accordo internazionale in passato era legata alla volontà degli stati che lo avevano firmato, ovvero l’esistenza e la durata degli accordi venivano meno qualora uno degli Stati firmatari prendesse la decisione di recedere unilateralmente o perché riteneva che l’altra parte non stesse rispettando il contenuto dei trattati, oppure perché si era verificato un cambiamento delle condizioni iniziali che erano irrinunciabili per la validità del trattato.
La regola da seguire secondo Bismarck, Cancelliere tedesco del XIX secolo forse più lungimirante dell’attuale Cancelliera Merkel, sugli accordi era “l’osservanza dei trattati tra le grandi potenze, in effetti, è relativa, come si nota quando tale osservanza è posta a confronto con la lotta per la sopravvivenza. Nessuna grande potenza è disposta a sacrificare la propria esistenza sull’altare della fedeltà ad un trattato, se obbligata a scegliere tra le due cose.” L’Italia a quanto pare continua ad andare contro i suoi interessi di nazione e di grande potenza , “sacrificando la propria esistenza” per adempiere alle condizioni un trattato che le altre parti firmatarie non rispettano e violano ripetutamente, e segue pedissequamente le istruzioni della Commissione Europea senza opporre resistenza, nonostante i conti dell’Italia siano tra i più ordinati rispetto agli altri stati e sia stato perseguito insistentemente l’avanzo primario, con la compressione del livello della spesa pubblica.
Quali alternative ha a disposizione l’Italia dal punto di vista giuridico per uscire da una situazione di impasse che sta gravemente compromettendo il funzionamento della sua economia con le conseguenze che conosciamo? La Convenzione di Vienna del 1969, a cui l’Italia ha aderito, ha posto fine all’arbitrarietà decisionale sul rispetto dei trattati e sulle condizioni di recesso o denuncia degli stessi. Sull’inadempimento del trattato, l’art.60 della Convenzione stabilisce che la violazione sostanziale da parte di uno degli stati firmatari può dare luogo alle cause di estinzione o sospensione degli accordi, lasciando la discrezionalità sulla scelta dell’estinzione o della sospensione allo Stato che invoca l’inadempimento. Nel caso del Trattato di Maastricht, ci troviamo di fronte a violazioni sostanziali degli accordi ripetute più volte dagli Stati membri (Germania, Francia, Irlanda, Spagna) e lo scopo e l’oggetto del Trattato sono stati traditi, poiché il 3% di deficit sul PIL è stato pensato per contenere i livelli di deficit degli Stati membri e quindi appare evidente che superando sistematicamente questa soglia lo scopo e l’oggetto del Trattato vengono meno.
Noi aggiungiamo che il 3% è una soglia completamente arbitraria dal punto di vista scientifico ed economico, non potendo esistere in economia un livello ottimale prestabilito di deficit, il quale è uno strumento utilizzato dallo Stato per aumentare o ridurre la spesa pubblica a seconda delle particolari contingenze economiche, ma è stato inserito nel Trattato di Maastricht e pertanto se gli altri stati membri decidono di violarlo unilateralmente, contraddicendo il detto Pacta Sunt Servanda, l’Italia ha tutto il diritto di utilizzare gli strumenti della Convenzione invocando l’inadempienza delle altri parti e lasciarsi alle spalle un periodo di sfacelo economico e sociale che non conosceva dal dopoguerra.
La Francia ha semplicemente fatto i suoi interessi, poiché la sua economia è in grave sofferenza e la produzione industriale ha fatto registrare un ennesimo calo, da qui la decisione di superare il 3% non solo per motivi economici ma anche politici, con un Presidente Hollande già fortemente indebolito e una maggioranza parlamentare non più solida, questo annuncio forse vuole calmare la pressione su Hollande. Se dunque gli strumenti esistono e sono a disposizione del Governo italiano, perché si continuano a fare annunci di voce grossa in Europa quando basterebbe minacciare la sospensione o l’estinzione degli accordi?

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