50 anni dall’Unità africana: che bilancio?

di Joseph Kazadi Mpiana
La data del 25 maggio 2013 è stata celebrata festosamente ad Addis-Abeba, sede dell’Unione africana, per i cinquanta anni dalla fondazione dell’allora Organizzazione dell’Unità africana (25 maggio 1963), alla quale è succeduta l’attuale Unione africana nel 2002 seppur iscrivendosi per taluni versi nella continuità e per altri nell’innovazione soprattutto istituzionale e nell’ampliamento degli strumenti adatti a rispondere alle sfide del continente.
L'Unione africana non è di più che la continuazione dell’Organizzazione dell’Unità africana di cui ha raccolto l’eredità. I padri fondatori erano ispirati dal panafricanismo e la loro azione era diretta da un lato a consolidare l’indipendenza acquisita dalla grande maggioranza degli stati africani di fronte al rischio del neocolonialismo, dall’altro mirava a sostenere tutti i popoli africani in lotta per la loro indipendenza.
Da questo punto di vista il bilancio dell’Organizzazione dell’Unità africana risulta positivo in quanto l’Africa conta attualmente 54 Stati indipendenti rispetto ai 32 che avevano contribuito alla nascita. Dal punto di vista della lotta contro il neocolonialismo il bilancio appare deludente in pratica soprattutto in materia economica dove gli Stati africani dipendono largamente dell’aiuto degli Stati extra africani. Lo stesso bilancio di funzionamento dell’Unione africana e della maggior parte delle Organizzazioni regionali africane è sostenuto da contributi provenienti dall’occidente o dall’oriente. La partecipazione dell’Africa nel commercio mondiale è assai ininfluente. I canali di produzione e commercializzazione dei prodotti sono rimasti sostanzialmente gli stessi che vigevano prima dell’era dell’indipendenza. All’Africa l’onere di estrarre o produrre le materie prime e all’occidente, ora anche l’oriente, il compito di trasformarle in beni da destinare tra l’altro al continente africano. L’istituzione della Comunità economica africana, che poggia sulle 8 Comunità economiche regionali africane, nonostante i buoni propositi e gli obiettivi, non ha finora contribuito in maniera incisiva sullo sviluppo economico del continente che rimane tutt’ora assai povero.
Il neocolonialismo è tutt’ora vigente, seppur in casi limitati, anche nell’ambito diplomatico-politico. I vari interventi della Francia, prima nella Costa d’Avorio, poi nel Mali, indipendentemente della loro legittimità, sono stati percepiti da taluni come la manifestazione del riflesso neocolonialista della Francia che interviene nelle sue ex colonie. Sul fronte della gestione delle crisi, occorre sottolineare gli sforzi compiuti negli ultimi quindici anni con l’emergere della nozione della “rinascita africana” che si è tradotta da un maggior coinvolgimento dei leader africani nella gestione dei conflitti africani tramite la mediazione o i buoni uffici. Anche qui c’è da registrare lo squilibrio tra ambizioni e mezzi adeguati. L’architettura africana di pace e sicurezza conta sul contributo finanziario e logistico estero per consolidarsi dando una visione dell’Africa sempre “mendicante” e dipendente dell’appoggio esterno. Le forze africane di mantenimento della pace dispiegate in alcune aree di guerra non possono essere effettive senza contributi esteri.
Tuttavia, giova sottolineare che la disciplina della condanna e del rigetto dei cambiamenti anticostituzionali di governi, che si è sviluppata a partire dagli anni 2000, e che vede impegnato in prima fila il Consiglio di pace e di sicurezza dell’Unione africana, costituisce una delle innovazioni assai rilevanti ascrivibili all’organizzazione panafricana. Il nuovo partenariato per lo sviluppo dell’Africa (NEPAD) e il suo programma di Meccanismo di valutazione dai Pari costituiscono strumenti che mirano alla trasparenza nella gestione degli affari pubblici nonché allo sviluppo dello Stato di diritto. Alcune comunità regionali africane, come la SADC, l’ECOWAS, COMESA, hanno compiuto diversi progressi sul cammino dell’integrazione, mentre numerose registrano difficoltà di funzionamento. Diversi trattati sono stati conclusi nell’ambito della protezione dei diritti umani, ma la loro effettività è largamente relativa.
Un limite rilevante del processo dell’unità africana risulta anche del fatto che il processo è stato prevalentemente accentrato sugli Stati (governi) e le organizzazioni internazionali africane lasciando pochissimi spazi ai cittadini africani che non percepiscono l’impatto dell’Unione africana nel loro vissuto quotidiano. Non a caso qualcuno aveva ironizzato che l’Organizzazione dell’Unità africana era un sindacato dei capi di Stato e governi. Lo è tutt’ora seppur in modo assai ridotto. L’auspicio è che l’Unione africana diventi la casa comune dei cittadini africani all’edificazione della quale partecipano attivamente diversi soggetti.
L’Africa attuale manca leader carismatici che hanno contraddistinto gli anni 1960. La loro visione dell’Africa era improntata all’idea, se non di realizzare politicamente gli Stati uniti dell’Africa, ma di costruire un progetto capace di aggregare i paesi africani in una piattaforma continentale o regionale. L’idea è stata ripresa da Gheddafi poi accantonata dell’edificazione degli Stati uniti dell’Africa. Il panafricanismo e la rinascita africana rimangono due temi interconnessi che accompagneranno ancora a lungo l’Africa nella ricerca della sua forma più funzionale ai suoi obiettivi.

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