Charles Aznavour, «le chansonnier» del mondo



Piccole Note

Il 1 ottobre ricorre un anno dalla morte di Charles Aznavour, il cantautore parigino di origini armene che ha saputo farsi amare grazie alla sua costante dedizione e alla sua capacità di cantare in ben sette lingue differenti, conquistandosi il titolo di padre degli chansonnier e vendendo centinaia di milioni di dischi.


Suo padre Micha, e anch’egli cantante, e sua madre Knar, entrambi sopravvissuti al genocidio armeno, approdarono a Parigi dove aprirono un ristorante nel quartiere Sorbonne, cosa che permise al piccolo Charles di immergersi nella realtà teatrale della Parigi degli anni ‘30 e ‘40, fino a quando, nel 1943, il “Frank Sinatra d’Europa” venne scoperto dalla grande Édith Piaf, la quale decise di portarlo con se in tournée in Francia, in Canada e negli Stati Uniti.


Fu proprio questo incontro a spingere la sua carriera verso il successo, Charles fu in testa alle classifiche francesi dagli anni ‘60 in poi e accompagnò alla carriera di cantante quella di attore, apparendo in oltre 60 pellicole.


Non fu solo un grande artista, fu anche un irriducibile combattente, sia nella musica sia nella politica, spendendosi fino in fondo per i diritti dell’amata minoranza armena. Il suo Paese ne riconobbe il ruolo, nominandolo nel 1995 ambasciatore itinerante presso l’Unesco, nel 2004 “eroe nazionale” e, infine, ambasciatore all’Onu.


A Erevan non si erano dimenticati quanto aveva fatto dopo il terribile terremoto del 1998, quando ancora l’Armenia era parte dell’Urss. La devastazione fu tale che Gorbacev dovette chiedere aiuto agli Stati Uniti.


Lui non aspetta tempo e si muove, da solo: incide “Pour toi Armenie” e contatta suoi amici cantanti: in novanta accettano di interpretare il brano nella loro lingua. Milioni i dischi venduti, i proventi vanno tutti ai terremotati.


Non solo, quando nel ’94 scoppia la guerra ai confini armeni, nel Nogorno-Karabach, porta tonnellate di aiuti ai rifugiati e, senza dir nulla a nessuno, paga di tasca propria biglietti aerei a quanti cercano riparo in Europa.


Anche per questa umanità, 1997, la Francia gli conferisce la Legion d’onore, cui si sommano, successivamente, onorificenze di Paesi stranieri come Canada e Russia.


Sempre affermò di sentirsi francese e sempre però difese l’orgoglio e i valori della sua famiglia armena. In un’intervista disse infatti: “Vede, quando si è figlio di immigrati, si è obbligati ad avere i piedi per terra. Vediamo le difficoltà vissute dai nostri genitori per educarci correttamente, in modo sano, per abbandonare il male e mostrare che il bene esiste.”


Insomma un uomo che si è speso per il suo popolo e le sue origini, la cui voce è stata amata da più generazioni, conquistando il pubblico della Carnegie Hall e dei più importanti teatri mondiali, persuadendo artisticamente icone della musica come Ray Charles e Liza Minnelli, e affascinando grandi artisti italiani, che spesso reinterpretarono i suoi singoli, come Gino Paoli e Mia Martini.


Qualche tempo prima della sua scomparsa sostenne che avrebbe cantato fino a 100 anni e che una volta impossibilitato, avrebbe continuato egualmente a scrivere canzoni; stimò ironicamente che avrebbe vissuto fino a 120 anni data la “buona aria” che si respira a Parigi.


Spentosi un anno fa nella sua casa nel sud della Francia all’età di 94 anni, oggi ricordiamo “Aznavoice” con un classico del 1963, cantato l’anno seguente anche da Domenico Modugno, una vera poesia che racconta in italiano la storia della morte di una madre.


Rimandiamo così a “La mamma”, nelle due versioni, italiana e francese.

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