Dialogo Usa-Iran: la variabile Netanyahu

Gli Stati Uniti avviano il dialogo con l’Iran per ripristinare l’accordo sul nucleare (JPCOA) e, in parallelo, Biden telefona a Netanyahu, dopo un lungo, assordante, silenzio. Due vicende che rimandano l’una all’altra.

Anzitutto l’Iran: gli Usa hanno compiuto due passi concreti per ripristinare l’accordo sul nucleare iraniano, dal quale la precedente amministrazione si era ritirata.

Inizia il dialogo con l’Iran

Giovedì scorso, infatti, il Segretario del Dipartimento di Stato, Antony Blinken, ha chiamato i ministri degli Esteri delle nazioni europee che hanno conservato l’accordo (siglato, al tempo, oltre che dagli Usa, da Francia, Germania, Gran Bretagna, Cina e Russia) per comunicare che Washington si unirà ad esse nel tentativo di ripristinarlo.

Non solo, gli Stati Uniti hanno anche inviato una missiva alle Nazioni Unite dichiarando nullo il passo compiuto dalla precedente amministrazione, che aveva chiesto all’Onu di ripristinare le sanzioni che, a suo tempo, tale organismo aveva inflitto a Teheran come punizione per aver intrapreso la corsa al nucleare.

Due passi concreti, dunque, come sottolinea il New York Times, giunti mentre proseguono le schermaglie tra i due antagonisti: Teheran dichiara che smetterà di arricchire l’uranio solo quando saranno revocate le sanzioni Usa, mentre Washington insiste sul fatto che Teheran deve smettere di produrre uranio arricchito prima di avviare i negoziati.

Schermaglie che servono a sedare i malumori interni, dato che i due contendenti devono far vedere all’opinione pubblica che non si piegano alle richieste dell’altro, e destinate ad accompagnare questo tormentato cammino.

A complicare, le tante voci che chiedono un ampliamento dell’accordo precedente, non un semplice ripristino, cosa che complica vieppiù il dialogo, ché Teheran ha già detto che l’intesa non si cambia.

L’iniziativa americana ha un ovvio impatto in Israele: Netanyahu ha reiterato pubblicamente la sua contrarietà all’accordo, mentre quanti l’appoggiano sono costretti al silenzio, dato che sanno bene che, esponendosi, rischiano di essere accusati di connivenza con il nemico.

Così è importante la presa di posizione pubblica di due alti esponenti della Sicurezza israeliana che, abbandonato l’esercito, sono entrati in politica: Omer Barlev e Yair Golan. In un’intervista al Timesofisrael, i due esponenti politici hanno dichiarato il loro consenso all’iniziativa di Biden.

L’intervista è molto lunga, e vi rimandiamo ad essa per un approfondimento, ma, in sostanza, si chiede al governo israeliano di non ostacolare l’iniziativa Usa, piuttosto di accompagnarla per raggiungere un’intesa più confacente alle esigenze di sicurezza israeliane (che, però, si potrebbe aggiungere, non possono sovrastare le esigenze di sicurezza di Teheran, ma questa è un’altra storia).

In questa sede ci limitiamo a riportare solo una risposta di Golan: “L’attuale politica ufficiale [israeliana], basata sul fatto che il ritorno all’accordo sul nucleare mette in pericolo Israele, è un inganno nei confronti dell’opinione pubblica israeliana”.

“Quando si fa un accordo con il nemico, è necessario raggiungere un compromesso. Obama lo ha fatto e ha raggiunto un accordo non così male. Il JCPOA non è perfetto, perché non esiste un accordo perfetto”, ma funzionava.

La telefonata Biden-Netanyahu

Il passo compiuto dall’amministrazione americana è coinciso con la telefonata Biden – Netanyahu. Su questo tema rimandiamo ad altra nota, nella quale spiegavamo come il fatto che Biden non avesse ancora chiamato il premier israeliano, nonostante avesse già avuto interlocuzioni con antagonisti dell’America come Xi Jinping e Vladimir Putin, non sia passato affatto inosservato, anzi era diventato un vero e proprio caso internazionale.

Ma al di là del pregresso, è ovvio che il gelo tra i due leader politici sia dovuto proprio alla decisione di Biden di ripristinare l’accordo con l’Iran.

E la telefonata a Netanyahu serve sia ad attutire la conflittualità con quest’ultimo che a ribadire come il dialogo con Teheran non vada inteso come un’iniziativa avversa a Israele, con il quale restano i rapporti privilegiati.

Detto questo, secondo Zakheim, la conversazione telefonica non ha azzerato le distanze.

“La Casa Bianca – si legge sul NI – insiste sul fatto che il ritardo di Biden nel telefonare a Netanyahu non è stato un affronto deliberato. Forse no. Netanyahu ha sicuramente dato il tono più positivo possibile a quella che sembra essere stata una conversazione educata, ma non particolarmente calorosa”.

“Da parte sua, tuttavia, Biden ha sottolineato il suo lungo e amichevole rapporto con Israele, piuttosto che con il primo ministro. Potrebbe non aver snobbato Netanyahu, ma di certo è sembrato così a chiunque presta attenzione alle relazioni tra Washington e Gerusalemme. E se davvero la telefonata in ritardo doveva essere un messaggio a Netanyahu che egli non era più gradito alla Casa Bianca, sicuramente meritava di riceverlo”.

Discrasie usuali nei rapporti internazionali, fatti di convergenze e divergenze. Ma che, nel caso specifico, complicano un cammino verso un’intesa Usa-Iran foriero di stabilità per il Medio oriente e per il mondo intero.

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