Francesco Erspamer - "Chi si straccia le vesti per la Palestina oggi dove era negli scorsi decenni?"



di Francesco Erspamer

Viviamo nella società dell’immagine, una società che ha sostituito non solo Dio e la metafisica ma anche il linguaggio e la scrittura con simulacri visivi, idoli (dal greco êidos “figura”). Non c’è dunque da stupirsi che la gente viva incollata a uno schermo, piccolo o grande, a casa e quando è fuori, e che non sia più in grado di distinguere, o peggio, che non sia più interessata a distinguere fra realtà e virtualità.
La caratteristica delle immagini è che di per sé non hanno tempo: sono istantanee, a differenza di un racconto, di un discorso, di una conversazione. Certo, si può indugiare su di esse: per secoli l’arte è stata un addestramento a un’attenzione protratta oltre il mero riconoscimento, dunque alla riflessione, all’analisi; ma non è il modo in cui le immagini vengono utilizzate dalle nuove tecnologie. Le nuove tecnologie inducono e pretendono impazienza, superficialità, velocità. Altrettanto rapide sono le reazioni: le emozioni esplodono e si consumano (come tutto: è anche e principalmente la società dei consumi) senza lasciare tracce, per essere sostituite da emozioni più nuove. Anche l’empatia è a obsolescenza programmata.

Per questo i tanti che oggi si stracciano le vesti per la Palestina non mi convincono. Dove erano negli scorsi decenni? Cos’hanno fatto allora? Sono scosso anch’io dal sistematico massacro e distruzione che sta avvenendo a Gaza ma ancora di più dal fatto che provoca solo orrore, non interventi politici. L’orrore, come il terrore, passa e viene presto dimenticato; i media questo vogliono, che tutto si riduca a terrore e orrore, senza generare progetti di soluzione. (In America neppure una settimana dopo, la strage in Maine è stata cancellata e tutto continua come prima, vendita di armi automatiche a psicopatici inclusa).

Qualcosa di potrebbe invece fare. Anche noi italiani, alla periferia dell’impero. Impegniamoci per l’uscita dell’Italia dalla NATO e per la chiusura delle basi americane. Avrebbe dovuto accadere decenni fa (il Trattato di Roma, del 1949, prevedeva che dopo vent’anni i firmatari avrebbero potuto porre fine all’impegno senza conseguenze).

Cos’è la NATO? Un’organizzazione che protegge gli interessi del paese dominante, gli Stati Uniti, ma soprattutto che esporta il loro modello di società. Ricordate che in America lo Stato non è l’intera nazione ma ciascuno dei 50 membri della federazione; quando noi diciamo «Stato» loro dicono «government»: lo Stato non esiste. Infatti gli americani non sono né nazionalisti né patriottici (patria deriva da «patres» e se c’è una cosa che non gli interessa sono le radici, i genitori, gli antenati). Gli Stati Uniti sono un’associazione a fini di lucro: chi ne fa parte vuole guadagnarci. Se volete, una specie di massoneria democratica. Nessun valore condiviso eccetto il «diritto» alla libertà individuale di essere quello che si vuole, senza vincoli sociali, e di far soldi, privatamente, senza obblighi nei confronti della comunità. Così la NATO. Difende quel modello, certo non la cultura e tradizioni italiane, tedesche, spagnole, polacche, turche. Ovvio che il liberista Zelensky voglia entrare a farne parte.

In Medio Oriente gli Stati Uniti fanno i loro interessi; che non sono quelli dei palestinesi ma neppure necessariamente quelli degli israeliani; piuttosto proprio di Netanyahu. Sono i nostri? Incrinare anche solo un poco il loro senso di onnipotenza renderebbe l’America molto migliore, un po’ più simile a quella che è stata nel periodo successivo alla sconfitta in Vietnam: l’unico in cui, purtroppo per poco, l’ossessione di sentirsi eccezionali e superiori a chiunque altro aveva lasciato spazio ad altre priorità e rivelato altre qualità.

Impossibile uscire dalla NATO? Forse, ma se non riusciamo a cambiare nulla a casa nostra, non pensate che l'ansia di cambiare le cose altrove sia velleitaria, una scusa per salvarsi l'anima senza rischiare niente?

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