Kafka, la democrazia e la marcia del 10 ottobre


di Marino Poerio*


"Quando Gregor Samsa una mattina nel suo letto si svegliò da sogni inquieti, si ritrovò trasformato in un negoziante.

La sera prima, alla televisione, il Presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, con un editto televisivo senza precedenti, aveva chiuso in casa tutti i cittadini per questioni di sicurezza.

Adoperando un irrituale decreto personale, stabiliva misure draconiane di restrizione della libertà, rese assolutamente necessarie dal fatto che lui e il suo governo, fino a quel momento, avevano per settimame sminuito la pericolosità del virus Covid 19 invitando gli italiani a ignorarlo - in nome della cultura - e gli stranieri in procinto di venire da noi a fare altrettanto - in nome del turismo.

Nel suo discorso, Conte purtroppo non aveva detto una sola parola per rassicurare quei milioni di italiani che dallo stare aperti traevano l'unico sostentamento, e che da una sera all'altra vedevano la loro ragione di vita economica annichilita con la stessa noncuranza con viene schiacciato uno scarafaggio".

Ho parafrasato uno degli incipit più noti della letteratura mondiale, quello de "La Metamorfosi" di Franz Kafka, sostituendo il gigantesco insetto in cui si trasforma Gregor Samsa con il tragico protagonista della cronaca italiana di questi mesi: il proprietario di una qualsiasi piccola impresa commerciale - bar, ristoranti, alberghi, botteghe, palestre - che in assenza di clienti non può tirare su la mattina la sua saracinesca, reale o metaforica.

Milioni di persone. Tutte loro, e i loro dipendenti, stanno vivendo da marzo un incubo in effetti assolutamente kafkiano: incolpevoli e spesso ignari di ciò che stava succedendo, si sono trovati improvvisamente stritolati da uno Stato che ne ha deciso le sorti in maniera imperscrutabile.

Come in un racconto del grande scrittore boemo, noi saracinesche siamo state oggetto di un crescendo di misure lesive della nostra libertà di impresa e del nostro diritto costituzionale al lavoro, alla dignità e persino all'eguaglianza (con chi ha mantenuto lavoro e stipendio).
Senza spiegazioni che non fossero "non ci sono alternative" ci hanno tolto il sonno e la fiducia nel domani.
Agitando lo spettro di una sempre incombente seconda ondata, il governo ci priva della possibilità non solo di pianificare un possibile rilancio, ma di avere persino una vaga idea di ciò che succederà alla nostre imprese.
Ci hanno chiusi, ci hanno fatto riaprire lasciando a casa buona parte del resto del paese - cioè i nostri clienti - fomentando e diffondendo un clima di paura che per molti sfocia inevitabilmente nel desiderio di starsi l'un l'altro lontani e nella fobia di frequentare posti pubblici.

Il Governo promette di indebitarsi con l'estero per risolvere i problemi del paese che potrebbe risolvere da solo, e prospetta con quei soldi (che i giornali danno per certi nonostante non ci sia nessun accordo internazionale) fantasmagorici investimenti, che non hanno in realtà nulla a che vedere con l'epocale crisi di domanda che ci porterà al tracollo economico.

Noi ci guardiamo intorno attoniti: basterebbe un minimo di logica per capire che non c'è alcun rapporto tra le cause della crisi e le soluzioni prospettate.
Siamo di fronte a un potere irraggiungibile, inarrestabile e spietato nella sua opaca irrazionalità, con cui sembra impossibile confrontarsi.

I media ci ignorano: in fondo oramai abbiamo riaperto, dovremmo essere contenti. La gente si rallegra che finalmente anche noi saracinesche (nella loro visione indotta dalla mala informazione) possiamo tornare a lavorare. Quanto ai mesi di chiusura: avremo pur messo dei soldi da parte per le emergenze? Diversamente, meritiamo di chiudere.

Le misure del governo a nostro sostegno, inesistenti o addirittura letali (avete perso migliaia di euro ogni mese? Eccovene seicento; vi state indebitando per colpa del lock down? Non vi preoccupate, ora vi potete sollevare indebitandovi con le banche) ci trascinano nel romanzo più angosciante di Kafka, il Processo: un incolpevole viene accusato di un reato che non gli viene notificato. Lo arrestano e lui, nei meandri di una burocrazia asfissiante e incomprensibile, non riesce nemmeno a capire di cosa lo accusino e come possa difendersi, e alla fine viene giustiziato.

Così noi, economicamente morituri, ci aggiriamo tra provvedimenti stranianti, senza alcun senso logico (persone assenti negli uffici, contingentate nei locali, debordanti e strette come sardine sui mezzi pubblici), vedendo ogni giorno che passa scendere le nostre probabilità di sopravvivenza, mentre il presidente Conte ringrazia Google per la volontà di investire nella digitalizzazione che salverà secondo lui le nostre micromprese (senza che nessuno gli chieda come e perché), e che servirà invece a rendere tecnologicamente più semplice ed efficace fare tutto da casa nel prossimo futuro.

Nel frattempo, governo e media insieme danno i nudi dati che parlano di contagi oramai irrisori, interpretandoli incredibilmente come segnali di una continua pericolosità del virus, in una strage continua non di vite ma di onestà intellettuale e buon senso.
Il presidente Conte, ebbro di consensi drogati dalla paura creata ad arte, procrastina il colpo di stato permanente e già annuncia la proroga di sei mesi dell'emergenza istituzionalizzata, che gli consente di non dovere perdere inutile tempo con i rituali obsoleti della nostra democrazia, che pure ha già nella Costituzione, da mesi vilipesa e violentata, la previsione di procedure d'urgenza ben codificate.

Questa è la situazione, nell'Italia ai tempi del Covid 19, dei nostri diritti democratici di lavoratori e soprattutto di cittadini.
Il governo più fascista della storia repubblicana, a differenza del modello originale mussoliniano, che almeno istituì il regime con una serie di leggi formali, sta cambiando e vuole continuare a cambiare il paese a colpi di decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.
La 'Camera dei Fasci e delle Corporazioni', che nel '39 sostituí la Camera dei Deputati, trova il suo corrispettivo modernissimo nelle miriadi di task force istituite dal Governo, che riferiscono al Premier affinché possa decidere le linee guida per il futuro del Paese, fuori da ogni dibattito e controllo parlamentare.

In questo contesto, il Ministro dell'Interno fa notare che in autunno ci potrebbero essere delle tensioni sociali.
E io dico: volesse il cielo!
Diversamente, il nostro destino sarà segnato e avranno vinto l'abulia e il conformismo delle vittime che si consegnano volenterose al loro carnefice.

E invece no, noi non ce ne staremo buoni.
Perché in questo incubo kafkiano (ed orwelliano) grazie a Dio non siamo tutti Josef K, predestinati al sacrificio per il bene insindacabile della macchina statale.
Qualche focolaio sparso di irriducibili della democrazia e dei diritti resiste, e ha trovato nel 10 di ottobre il giorno per riunirsi tutti insieme, a Roma, in una Marcia di Liberazione.

Chi pensa che vivere e lottare fino alla fine da cittadini sia meglio che morire da sudditi, verrà sicuramente con noi a manifestare.

*Fondatore del Movimento delle saracinesche

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