L’8 aprile 2025, gli Stati Uniti hanno annunciato un forte aumento dei dazi sulle esportazioni cinesi, portando l’aliquota dal 34% all’84%. La risposta di Pechino non si è fatta attendere: a partire dal 10 aprile, anche la Cina applicherà misure speculari contro le merci statunitensi, accusando Washington di “violare gravemente” i principi del commercio multilaterale.
Non solo dazi. Il Ministero del Commercio cinese ha inserito 12 aziende USA in una lista di controllo delle esportazioni e 6 in quella delle entità non affidabili, bloccandone attività commerciali e investimenti nel territorio del Dragone asiatico. Tra queste, figurano colossi della tecnologia e della difesa come Shield AI e Sierra Nevada Corporation.
Ma la questione va oltre l’economia: per la Cina, si tratta di difendere la propria sovranità e il proprio sviluppo. Dall’altra parte, il presidente Trump insiste: “La Cina vuole un accordo, ma non sa come ottenerlo”. Tuttavia, secondo un editoriale apparso sul quotidiano Global Times, l’imposizione di dazi non riuscirà a frenare la globalizzazione, definita un “processo inevitabile del progresso umano”. Il commercio internazionale – motore dello sviluppo – non può essere riscritto da decisioni unilaterali, soprattutto da chi, come gli USA, è stato finora il principale beneficiario del sistema economico globale.
La storia insegna: i dazi del 1930 portarono alla Grande Depressione; quelli del 2018 costarono miliardi ai consumatori statunitensi. E oggi, avverte la stampa cinese, più che una “de-globalizzazione”, rischiamo di assistere a una progressiva “de-americanizzazione” del mondo.
*Tratto dalla newsletter quotidiana de l'AntiDiplomatico dedicata ai nostri abbonati
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