Dopo l’attacco terroristico che ha colpito dei turisti a Pahalgam, nel Kashmir indiano, causando 26 morti, l’India ha lanciato l’Operazione Sindoor, una serie di raid mirati contro nove presunti campi terroristici in territorio pakistano e nel Kashmir amministrato da Islamabad. New Delhi ha definito l’operazione "misurata e non escalationistica", ma le conseguenze sono state tutt’altro che contenute. Secondo fonti pakistane, i bombardamenti indiani hanno causato almeno 26 vittime civili e 46 feriti, colpendo anche una moschea a Muzaffarabad.
Il Pakistan ha risposto con pesanti bombardamenti lungo la Linea di Controllo, con un bilancio di almeno 15 morti e decine di feriti anche nel lato indiano. L’escalation è la peggiore dal 2019 e ha sollevato timori internazionali: ONU, Russia, Iran, USA e Regno Unito hanno chiesto moderazione, temendo un conflitto su larga scala tra due potenze nucleari.
A complicare il quadro, il governo Modi ha annunciato lo stop al flusso di acque verso il Pakistan, sospendendo de facto il trattato del 1960 sul bacino dell’Indo, finora simbolo di cooperazione tra i due Stati. Islamabad ha parlato di “atto di guerra” e ha dato carta bianca ai militari per rispondere “in tempo, luogo e modalità” a propria discrezione.
Intanto, accuse reciproche di propaganda e escalation politica segnano la narrativa pubblica. In gioco non c’è solo la sicurezza regionale, ma anche la stabilità diplomatica in un'area già fragile, dove il rischio di una guerra aperta non è più un’ipotesi remota, ma una minaccia concreta.
*Tratto dalla newsletter quotidiana de l'AntiDiplomatico dedicata ai nostri abbonati
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