di Antonio Di Siena
Ho letto e riletto con grande perplessità i 6 punti delle sardine. C’era qualcosa di inquietante in quel messaggio banale che però non riuscivo a cogliere.
Eppure quel “pretendiamo” continuava a rimbombarmi nelle orecchie. Poi ho capito.
In quel manifesto non c’è il vuoto pneumatico come dice più di qualcuno. E non c’è neanche il disordinato populismo che animava le prime piazze a 5stelle. Quelli almeno erano incazzati e il vaffanculo, per quanto un insulto sgarbato, è spesso un sentimento sincero.
Sta roba è molto diversa.
Perché in quel mini programma di 6 punti c’è tutto il sentimento antidemocratico di questi ragazzi dai modi educati.
Simboleggiato da quel “pretendiamo” che non è urlato con la rabbia tipicamente giovanile di chi vive precarietà e marginalità.
Ma invece suadentemente sussurrato col sorriso sulle labbra dalle facce pulite e l’animo sereno di chi ha molti meno problemi.
Eccezion fatta per il sesto (sul quale sono pure d’accordo) il cuore di questo manifesto da piccoli balilla sono i suoi 4 punti centrali. Quelli che meglio ne rappresentano tutta la violenza perché incentrati su un unico tema: informazione e comunicazione.
Ebbene nel bel mezzo di una crisi economica, sociale e istituzionale senza precedenti recenti invocare misure finalizzate alla “trasparenza dei social network”, garanzia di una “informazione fedele ai fatti” ed equiparazione della “violenza verbale a quella fisica” significa una cosa soltanto: pretendere che giornali e social network censurino e i tribunali puniscano tutto ciò che non è politicamente corretto e/o non conforme al pensiero unico dominante.
Si stanno invocando quindi censura e misure che controllino l’informazione e limitino la libertà di espressione.
Il tutto con i modi rassicuranti e pacati dei borghesi moderati.
Quelli che da sempre stanno dalla parte della reazione.
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