Nidi: tra obiettivi del Pnrr e privatizzazioni

di Federico Giusti

Strada facendo abbiamo compreso come la riscrittura del Pnrr abbia sacrificato interventi importanti a tutela del territorio, dei borghi, la messa in sicurezza di siti inquinati, la efficienza delle reti idriche prive, ormai da decenni, di manutenzione.

E tra i tagli derivanti dalle direttive Ue ritroviamo anche i fondi destinati agli asili nido.

Si rende necessaria tuttavia una premessa, i nidi sono servizi a domanda individuale e gravano in parte sulle famiglie con rette mensili collegate all’Isee.

Per esperienza diretta posso asserire che una famiglia con redditi bassi prima di iscrivere un figlio o una figlia a un nido faccia due conti sulle disponibilità economiche e sovente, ove sia possibile ci si appoggia su genitori e parenti rinunciando, per ragioni di spesa, a una esperienza formativa che dovrebbe essere invece inclusa tra i servizi della pubblica istruzione.

Oltre 20 anni fa si mobilitarono sindacati, lavoratrici e realtà sociali per includere i nidi nei servizi della pubblica istruzione , di questa rivendicazione si è persa traccia ed è finita letteralmente nel dimenticatoio.

Molti Enti locali hanno deliberatamente scelto di esternalizzare la gestione dei nidi, dovevano restare dentro parametri di spesa Ue imposti per favorire i processi di privatizzazione dei servizi .

Le privatizzazioni hanno favorito la gestione dei nidi da parte del terzo settore dentro cui opera una forza lavoro con retribuzioni da fame, contratti sfavorevoli.

Questo autentico dumping contrattuale tra strutture pubbliche e privati, per svolgere le stesse attività, è stato favorito anche dai sindacati firmatari di contratti che hanno favorito la nascita di ccnl sfavorevoli.

L’obiettivo del Pnrr per gli asili nido a inizio anno è sceso a 150mila nuovi posti da creare entro la fine del 2025, rispetto ai 264mila inizialmente previsti dal piano finanziato con il Next Generation Eu.

Il Governo Meloni si erge a difesa delle famiglie e della infanzia ma accoglie passivamente le istanze Ue che optano per investimenti redditizi a favore della digitalizzazione e dell’economia green. Non parliamo per altro di asili nido a gestione diretta, vedremo tra qualche anno i soggetti beneficiari di questi investimenti. Nel frattempo è evidente l’incremento dei costi e le carenze esecutive degli enti locali alle prese con croniche carenze di organico tanto che alcuni Comuni hanno già rinunciato ai fondi assegnati.

Stando ai Pnrr e agli obiettivi Ue l’Italia deve raggiungere i target comunitari ossia il 33 per cento dei posti offerti in rapporto al numero dei bambini da 0 a 2 anni. Al 31 dicembre 2020, secondo i dati Istat, in Italia erano attivi solo 350.670 posti negli asili nido, la metà (49%) dei quali pubblici mentre tra 0 e 2 anni i bambini e le bambine erano 653.487 bambini

Ammesso di raggiungere il target europeo la domanda che sorge spontanea è un’altra: perché non è stato inserito il nido tra i servizi della pubblica amministrazione e perché non si guarda essenzialmente alle strutture pubbliche?

La risposta è sempre la stessa:il privato con i salari da fame conviene al Governo, alla Ue e alle logiche di austerità salariale

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