di Alessandro Mariani
Parafrasando Einstein con lo sguardo volto ai fatti di casa nostra, si può dire che se ci sono due cose infinite, queste sono la tracotante ignoranza della destra e la stupidità della sinistra. La cosa però finisce qui, perché mentre Einstein nutriva qualche dubbio sulla smisurata vastità dell’universo, noi non ne abbiamo alcuno riguardo all’affermazione dalla quale siam partiti. In fisica due forze uguali e contrarie si annullano, ma nella politica nostrana le cose vanno diversamente e destra e sinistra si rafforzano a vicenda. Non in termini elettorali, è ovvio; semmai nel senso che l’una diventa sempre più becera mentre l’altra diventa sempre più stupida.
Ma se la fisica la fa facile la politica è più complicata, e raggiunto il livello di saturazione le qualità in eccesso si trasferiscono da una parte all’altra. A conferma di ciò, solo per restare ai fatti più recenti, si prenda ad esempio l’invito alla sobrietà per ricordare l’ottantesimo Anniversario della Liberazione; un’idiozia in piena regola rilanciata all’unisono da tutti i giornalacci della destra. E di converso, quanto sono state volgari, false e tracotanti le grida della sinistra (M5S compreso) contro l’invito all’astensione per i prossimi referendum avanzato da alcuni esponenti della destra? Il tutto rilanciato, com’era naturale che fosse, dai giornaloni di marca progressista.
Il voto come dovere civico, la fattiva partecipazione dei cittadini… e chi più ne ha più ne metta. Ma da che pulpito?! Non erano stati i Democratici di Sinistra, a far esplicita propaganda astensionista per il referendum del 2003, guarda caso sempre in materia di lavoro? E l’allarme del Presidente della Repubblica per “una democrazia a bassa intensità”? Non era forse stato il suo predecessore, appartenente alla sua stessa area politica, a legittimare l’astensione al referendum per di più arguendo in termini di costituzionalità,[1] oltre che di opportunità?
Quella tra destra e sinistra è ormai una sorta di sfida tra Burghy e Mc Donald dove entrambi i contendenti spendono la maggior parte del tempo e delle energie per denigrare e sminuire i prodotti dell’altro più che a magnificare i propri. E come dargli torto, del resto, essendoci poco o nulla per cui vantarsi dalla propria parte e tutto, o quasi tutto, da criticare e demolire dall’altra. Ma il fatto è che nel frattempo i potenziali clienti stanno diventando vegani, il che non vuol dire che si apprestino a diventar salutisti di conseguenza.
Un elettore su due non vota e per ogni pecora che si riprende ne scappano due dall’ovile. Qui sta l’ hic Rhodus hic salta, la crisi della democrazia rappresentativa riguardante le nostre oligarchie liberali che di liberale non hanno più nulla. E all’Italia tocca, ancora una volta, il ruolo di apripista.
Se tra le reazioni della destra ha prevalso uno scontato cavalcare i temi della paura e dell’insicurezza, i referendum sono diventati la foglia di fico di una sinistra ormai priva di ragione sociale e a corto di idee, che ha riesumato l’istituto, altrettanto prevedibilmente, con una retorica gattopardesca ed insopportabile.
Ormai i referendum abrogativi sono parte integrante della costituzione materiale di questo paese, stando a quel che si dice un istituto di democrazia diretta. Negli effetti, una sorta di esercitazione istituzionale con periodicità variabile, dove l’irrilevanza parlamentare fa tutt’uno con quella del corpo elettorale. Il tutto previo suggello e benedizione deel “supremo baluardo dell’ordinamento repubblicano” che garantisce la plasticità ameboide della costituzione più bella del mondo.
Sorvolando per carità di patria, su evoluzione, attribuzioni, e prebende della Corte Costituzionale, non si può far a meno di notare come per l’appuntamento dell’8 e del 9 giugno entrambe le parti si trovino a far i conti con un effetto paradosso; vale a dire col fatto che tanto i reiterati inviti all’astensione, quanto la stigmatizzazione della stessa sortiscano, con buona probabilità, l’effetto opposto, tanta e tale è ormai la sfiducia dei cittadini nei confronti dei partiti e delle formazioni politiche.
Senza addentrarsi poi nel merito dei quesiti referendari, il men che possa dirsi è che il ripensamento in materia di lavoro sia arrivato male e tardi, equivalendo nella sostanza a chiudere la stalla quando i buoi erano già scappati e ormai troppo lontani per andarseli a riprendere. Per quanto invece attiene al referendum sulla cittadinanza non ci si può esimere dal sottolineare che, come il buon senso suggerisce e la storia conferma, il successo di una campagna referendaria è legata alla trasversalità dell’argomento rispetto agli schieramenti che si fronteggiano, e che questo non sembra proprio il caso.
Ça va sans dir che nella fattispecie il mancato raggiungimento del quorum comporterebbe l‘ulteriore procrastinazione della riduzione dei termini, con buona pace di quella che è a tutti gli effetti una questione di civiltà. In tal caso c’è veramente da chiedersi dove si situa il confine tra stupidità e malafede. Come è possibile affrontare un problema essenzialmente morale in termini di “risorsa” (i figli degli immigrati che ci pagano le pensioni e via discorrendo) e di converso non rendersi pragmaticamente conto che dagli albori della civiltà ad oggi l’immigrazione ha costituito il problema dei problemi?
Col passare del tempo vi è poi un’eventualità che potrebbe affacciarsi sullo sfondo; ovvero che a fronte del crescente astensionismo si intenti una campagna per l’introduzione di un quorum anche in sede elettorale, subordinando al suo mancato raggiungimento l’estrazione a sorte dei futuri rappresentanti da appositi elenchi di cittadini in possesso di determinati requisiti (sulla scorta di quanto già avviene nel processo penale per la designazione delle giurie popolari). Il perfezionamento di un’ipotetica nuova legge elettorale sarebbe una mera questione tecnica e, a prescindere dal fatto che non avrebbe l’avallo della Corte Costituzionale, la sua sola proposizione costituirebbe una vera e propria spada di Damocle sul capo dei soggetti politici tradizionali. Hegelianamente un’astuzia della ragione.
[1] Cfr. G. Napolitano intervista su “Repubblica” 13 aprile 2016, “Se la Costituzione prevede che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è causa di nullità, non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria”
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