Tutti per Gaza. Sfida all’ultimo like

di Patrizia Cecconi


Doveva girare il vento, ogni tanto succede. Così, dopo un po’ più di 19 mesi di sterminio indiscriminato di gazawi, compresi i neonati nelle incubatrici, quelli che alcuni parlamentari della Knesset hanno definito terroristi in culla e quindi da eliminare; dopo oltre 19 mesi in cui i nostri opinion maker hanno mostrato il loro razzismo servile minimizzando o nascondendo l’efferatezza dell’esercito israeliano e le criminali intenzioni di Netanyahu, dei suoi ministri e dei suoi generali; sostenendo contro ogni evidenza e ogni ragione storica che Israele ha diritto a difendersi giustificando, quando non era possibile ignorarlo, ogni crimine di guerra e contro l’umanità ricorrendo alla solfa del “pogrom” del 7 ottobre; dopo 19 mesi in cui l’informazione mainstream ha svolto il ruolo di megafono dell’oppressore ponendosi come sua scorta mediatica, come ben spiegato da Raffaele Oriani, dopo questi 19 mesi che hanno ridotto la Striscia di Gaza a un girone d’inferno, il vento è cambiato.

Attivisti e militanti pro Palestina per 19 mesi hanno chiesto un’informazione libera e veritiera e per 19 mesi stampa e Tv di regime hanno seguitato a svolgere il loro ruolo di servitori fedeli del carnefice di Tel Aviv e dei suoi complici, tra cui il nostro Bel Paese, terzo fornitore di armi di sterminio.

Per 19 mesi l’opinione pubblica è stata sottoposta a silenzi e manipolazioni mediatiche nel tentativo di spegnere ogni possibile forma di empatia che rischiava di farsi dissenso attivo.

Abbiamo visto politici e servitori mediatici, con rarissime eccezioni, impegnarsi senza riserve nell’aiutare il macellaio di Tel Aviv a realizzare il progetto originario di pulizia etnica e annessione illegittima che dal 1948 ad oggi non è mai stato abbandonato.

A fronte di tutto ciò, la società civile non anestetizzata, in Italia come nel mondo, da 19 mesi si attiva come può, spesso rischiando arresti e manganellate, per rompere il silenzio e rovesciare la narrazione dominante basata sulla menzogna. Sit-in, flash-mob, conferenze, scioperi della fame, appelli, seminari, cortei. Tutte iniziative che hanno evitato che l’opinione pubblica finisse in massa nella schiera degli ignavi, laddove l’indifferenza si trasforma in sostegno passivo all’oppressore.

Ora il vento sta cambiando, o almeno così sembra e sui social si leggono espressioni come “finalmente i media si stanno svegliando”. No, non si stanno svegliando, hanno solo percepito il giro del vento e si stanno costruendo una mantellina che possa ripararli dall’accusa di complicità col genocida, ma solo ora che il suo potere sembra meno stabile.

Non hanno mai abbandonato la premessa del “condanniamo Hamas e l’orrenda strage del 7 ottobre” occultando le orrende stragi subite dai palestinesi in 77 anni di oppressione. Per essere accreditati al mercato mediatico si deve sempre comunque rispondere positivamente alla domanda “tu condanni Hamas?”. Ebbene, non dovendo e non volendo entrare nella vetrina del mercato mediatico, chi scrive risponde chiaramente “No. io non condanno Hamas, essendo Hamas una delle forze, negli ultimi anni la più significativa, che lotta contro l’occupazione israeliana”.

La lotta contro un gigantesco apparato militare, potenziato dalle complicità mondiali, non può essere vincente se portata avanti con le fiaccolate, i canti o gli aquiloni, sebbene anche questa via sia stata tentata, ma la risposta è sempre arrivata con proiettili, carrarmati, confische di terre, demolizioni e stragi.

Ma le stragi di palestinesi solo quando sono particolarmente consistenti salgono, e solo per qualche ora, agli onori della cronaca. Due o tre palestinesi assassinati non fanno notizia. I nostri mass media hanno così ben interiorizzato il razzismo che ormai stroncare una, due, tre vite palestinesi al giorno non merita attenzione. Neanche 30 mila, 40 mila o 60 mila palestinesi avrebbero fatto notizia se non ci fosse stata l’informazione alternativa, quella che inviava in diretta le fasi dello sterminio e che alla fine ha costretto una voce mediatica importante, guarda caso statunitense, a dire la parola magica che ha prodotto il giro di vento.

E ora, per quanto tempo non si sa, assistiamo a una gara tra politici e organi d’informazione, compresi i talk show televisivi, a chi è più attivo nel condannare la ferocia dell’IDF. Beninteso con la premessa di cui sopra. Per ora restano fuori dal nuovo coro, mantenendo la loro coerenza filosionista, figure particolarmente squallide quali i ladruncoli di profumi, i delinquenti incalliti che non hanno bisogno di pararsi dal vento perché già riparati da mantelli di tessuto sionista resistente alle intemperie temporanee, e quelli più lenti nel capire su quale cavallo puntare. Per gli altri è una sfida a chi è più “umano”, a chi condanna con più decisione il perfido Bibi, ma sempre occultando l’originario progetto sionista di cui Netanyahu è solo il più feroce esecutore. Perfino Rai3 ha cambiato l’inviata da Gerusalemme e al posto della Gianniti, i cui servizi erano un’offesa anche alla vergogna, ha messo la più decente Goracci la quale, con discrezione ça va sans dire, mostra la realtà del genocidio.

Ora anche la condanna allo sterminio intenzionale dei giornalisti palestinesi ha trovato forma in un appello di giornalisti italiani in cui figurano firme fino a pochi giorni fa imprevedibili, ma va bene così. L’appello gira e riceve tanti like.

Le iniziative di sostegno si moltiplicano. A volte sono piuttosto autoreferenziali, a volte tinte di protagonismi personali. Girano foto e crescono i like, ma va bene così.
Un’ennesima freedom flotilla che sperava di avere almeno attenzione mediatica nel momento in cui Israele, attaccandola in acque internazionali le avrebbe impedito di portare aiuti a Gaza è stata più o meno ignorata, perché il vento non era ancora cambiato e quindi i media avevano rispettato la consegna del silenzio. Pochi like, purtroppo.

Una manciata di parlamentari, attivisti e giornalisti ha tentato per la seconda volta raggiungere Gaza dall’Egitto sapendo che non sarebbe stato possibile, ma che avrebbe avuto un’eco mediatica e infatti l’ha avuta. Apprezzamenti e like, niente di più ma va bene così.

Poi sono arrivati i 5 minuti di buio per Gaza. Personalmente l’ho considerata un’iniziativa inutile e semplicemente autoreferenziale. Sbagliavo. I media ne hanno parlato, l’iniziativa è arrivata in Francia e in Svizzera e forse anche altrove. Ha salvato Gaza dalla fame o dalle bombe? No, però ha sensibilizzato una fetta di opinione pubblica che sembrava destinata all’ignavia. Sono cresciuti i like e l’iniziativa è stata riproposta raddoppiando i minuti di buio, ma anche catturando più consensi alla denuncia e più dissensi verso il carnefice e i suoi complici. E allora va bene così.

Non poteva mancare il digiuno a scacchiera. Un giorno di digiuno a sostegno della popolazione di Gaza. Forse la più autoreferenziale tra tutte le iniziative proposte, ma esistono i social. Chi aderisce lo scrive, aggiunge un’immagine, fa sapere che sta con Gaza. Arrivano i like. E va bene così.

Dalla Francia è partita l’iniziativa di una marcia per Gaza. Personalmente non la condivido, c’è già stato un precedente piuttosto fallimentare, ma forse stavolta sarà diverso. Molti partecipanti sono animati dall’infatuazione di rompere l’assedio ed essere i protagonisti della salvezza di Gaza. Forse saranno solo tanti like, ma va bene così.
In Italia alcuni intellettuali il cui nome ha forza mediatica hanno lanciato un’iniziativa nazionale con lo slogan “#ultimogiornodiGaza”.

Ovviamente solo chi è stupido o era in malafede poteva intendere che lo slogan fosse rinunciatario o addirittura auspicasse la fine della resistenza gazawa tanto più che nell’appello, sotto lo slogan, si chiedeva di moltiplicare le iniziative di sostegno alla lotta palestinese in ogni quartiere, in ogni luogo di lavoro, in ogni paese, in ogni città e darne visibilità. Tante adesioni e tanti like.

La stampa e le tv ne hanno appena accennato. L’iniziativa si è ripetuta con la richiesta di esprimere solidarietà con un lenzuolo bianco che ricordi gli oltre 50 mila sudari e quindi condanni il genocidio e alzi la voce della società civile contro le complicità con i carnefici israeliani. Incredibilmente anche il Comune di Milano, sempre accondiscendente alle pretese della comunità ebraica locale, una delle più filo-fascio-sioniste d’Italia, espone un lenzuolo bianco attirandosi lo strumentale insulto di antisemita. Ottimo.
I sostenitori della Palestina per 19 mesi hanno urlato contro il silenzio mediatico e ora i media che hanno fiutato il vento si fanno sentire, parlano, addirittura alcuni sostengono, sempre con parsimonia ma sostengono, le denunce di genocidio e chiedono che Israele venga fermato.

Le ipocrisie ovviamente non mancano, come il ricorso al buon Grossman, un sionista intelligente, utile a conservare intatto il progetto sionista mostrando compassione per “l’eccessivo” numero di vittime palestinesi innocenti. Dietro quel “innocenti” ci sarebbe molto da discettare, non certo nel senso dei criminali che siedono nella Knesset e i quali, citando le pagine più feroci della Bibbia, affermano che non ci sono innocenti. Ma nel senso che chi combatte contro il suo oppressore non può essere dichiarato colpevole. Ma questo tema lo rimandiamo ad un prossimo approfondimento.
Ora vogliamo solo rilevare che gli opinion maker stanno cambiando atteggiamento e una parte dell’esercito mediatico si sta ammutinando.

Però succede qualcosa. Qualcosa che va oltre la critica alle divere iniziative che non necessariamente debbono trovare il favore di tutti. Del resto sono iniziative di sostegno alla Palestina ed è come sostenitori e non come palestinesi che vengono realizzate. I palestinesi dalla Palestina, da Gaza in primis ma non solo, chiedono di attivare qualunque azione che possa sostenere la loro lotta.

Per onestà intellettuale e per esperienze dirette e prolungate ritengo che quando si dice “ i palestinesi” ci si debba liberare da alcuni equivoci: primo, non vanno confusi i palestinesi che lottano sulla propria terra con quelli che hanno lasciato la Palestina, non perché esiliati o impossibilitati a tornare, ma perché hanno scelto di espatriare per un futuro migliore. Fatto umanamente comprensibile, ma da non confondere con la resistenza. Secondo, non tutti i palestinesi, sia di Gaza che della Cisgiordania hanno unità di vedute e quando si dice “i palestinesi” è come rinchiudere un popolo fatto di singole identità in un monolite che sublima ogni differenza lasciandola evaporare a tutto vantaggio di chi, dall’esterno, parla di “palestinesi” come fossero una specie da proteggere, confondendo la protezione col rispetto che la massificazione fa scomparire trasformandolo o in pietà, o in esaltazione o, fuori del campo propal, in disprezzo.

Dunque, qualcosa sta succedendo. Sembrerebbe una di quelle azioni di grande intelligenza propagandistica prodotte dalla Hasbara e invece è solo una sindrome comune al mondo del volontariato. Potremmo sintetizzarla così: “se non l’ho ideata io, la boicotto”. E così capita di leggere critiche furiose contro la “Marcia per Gaza” dando addirittura del filo-sionista a chi la sostiene e, successivamente, con bella scrittura e ottima dialettica, si tende a distruggere un paio di iniziative di condanna del genocidio dichiarandole “estetizzazione del lutto”. Si prendono le parole di un poeta palestinese, parole giuste, e le si appiccicano a un’iniziativa che non sta estetizzando il lutto ma lo sta denunciando, che non sta cancellando le responsabilità di Israele ma le sta denunciando, non sta cancellando la Palestina ma ne sta gridando il diritto a esistere e a resistere. Esattamente quel che chiedono i palestinesi che lottano e non quelli che espatriano o sono espatriati o hanno mal interpretato il senso di quella iniziativa.

Il “divide et impera” ha sempre funzionato e quando il fronte degli alleati del potere mostra delle crepe, ecco che il potere, se intelligente come lo è quello della Hasbara, corre ai ripari e le crepe le apre nel fronte dei suoi avversari. Niente di meglio per raggiungere l’obiettivo, che sfruttare le critiche, ben argomentate e ben scritte di chi, involontariamente sta facendo un favore all’entità sionista conosciuta come Stato ebraico.

Intanto la mattanza continua e nessuno ferma Israele.


Patrizia Cecconi
Roma, 26 maggio 2025

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