I negoziati di Kampala per la RDC: tra stallo e incertezze. Il punto

Inaugurati il 9 dicembre 2012 a Kampala sotto la mediazione ugandese, i negoziati tra la delegazione governativa congolese e il gruppo di ribelli denominato M23, procedono al passo della lumaca. La sospensione concordata da ambedue le parti per la pausa natalizia non nasconde lo stato di stallo evidente che avvolge i lavori in corso. Il problema di fondo rimane la divergenza sul menu dei colloqui, la diffidenza tra gli stessi interlocutori e la tattica di alzare la posta in gioco con l’intento di rendere possibile la ripresa delle attività belliche.
Il movimento delle truppe nei dintorni di Goma, segnalato peraltro anche dalla MONUSCO, desta non poche preoccupazioni circa l’esito dei negoziati di Kampala. Nel presente contributo, intendiamo analizzare le debolezze dello schema proposto dalla mediazione ugandese per risolvere la questione della guerra nella RDC, la mancata appropriazione da parte della maggioranza dei congolesi del “processo di pace “ avviato in terra ugandese, le ambiguità della posizione assunta fin qui dal governo congolese, il mancato coinvolgimento o meglio l’indifferenza dell’opposizione congolese ai negoziati in corso. Infine faremo una valutazione complessiva della situazione proponendo di attaccare il problema alle radici.
Sulla spinta della Conferenza internazionale sulla Regione dei Grandi laghi, i negoziati sono stati indicati come la via maestra per ottenere dal M23 il ritiro dalla città di Goma e per ristabilire una pace duratura nella regione. Se le premesse sono condivisibili, la strada imboccata ci sembra assai discutibile. Il ruolo del mediatore non offre le garanzie d’imparzialità e terzietà, requisiti essenziali per chi intende assumere l’incarico di mediatore. Alcune fonti autorevoli hanno puntato il dito anche contro l’Uganda come fiancheggiatore del M23. Non è frutto di un caso che nel suo intervento all’apertura dei negoziati, il delegato del M23 abbia rivolto critiche pesanti nei confronti del governo congolese accusandolo, tra l’altro, di collaborare con le FDLR (gruppo armato che opera in clandestinità nella RDC e considerato dal Ruanda come minaccia alla sua sicurezza, alibi spesso invocato dal Ruanda per tentare di giustificare la sua presenza sul territorio congolese) e il movimento LRA (operativo in clandestinità nella RDC) in lotta contro il regime di Kampala. L’Uganda ha spesso invocato l’alibi della presunta presenza del movimento LRA sul territorio congolese per giustificarvi la sua azione di “contrasto”. Riprendendo dall’alto della tribuna queste accuse, il movimento ha fornito un assist importante agli argomenti sostenuti dai paesi appena citati.
Il sostegno esterno ricevuto dal M23 appare un dato di fatto e le varie pressioni esercitate su alcuni paesi confinanti con la RDC a cessare ogni appoggio al M23 costituiscono una prova supplementare. I vari rapporti stilati dagli esperti delle Nazioni Unite sono costanti nell’evidenziare il coinvolgimento esterno in appoggio alle truppe del M23. Partendo dalle considerazioni poc’anzi sviluppate, che peso dare ai negoziati che non sono frutto di un accordo dei diretti interessati ? La trappola dei negoziati tra il governo congolese e il M23 è quella di presentare la guerra in RDC come un problema interno accantonando la vera natura del conflitto, spostando tutta l’attenzione su Kampala mentre i movimenti delle truppe ribelli si fanno notare nei dintorni di Goma. Il governo congolese ha adottato un profilo basso cascando nella trappola. Pur conoscendo i diretti interessati del conflitto, il governo congolese si è trovato costretto ad accettare uno schema che aveva sempre rifiutato, cioè, il principio di negoziare con il M23. La debolezza militare, le defezioni degli ufficiali sul campo di battaglia, le sconfitte registrate dall’esercito congolese di fronte all’avanzata del M23 l’hanno finalmente spinto ad accettare una soluzione politica attraverso il negoziato con il movimento ribelle, il quale coglie l’occasione per alzare la posta in gioco. Se all’inizio della ribellione, il movimento reclamava l’applicazione dell’accordo di pace concluso il 23 marzo 2009 tra il governo congolese e il CNDP, a seconda delle convenienze, ha messo sul piatto altre rivendicazioni e pretese che esulano dagli obiettivi iniziali della guerra, come il deficit di democrazia, l’illegittimità delle istituzioni, tentando invano di coinvolgere l’opposizione alla sua causa, etc.
Prima della sospensione dei lavori per pausa natalizia, il movimento ha condizionato il prosieguo dei lavori dalla firma di un accordo di cessate il fuoco. Per ora il governo congolese respinge la proposta, peraltro molto insidiosa, e non si sa fino a quando manterrà la sua fermezza sulla proposta. Un cessate-il fuoco consentirebbe al M23 di consolidare le posizioni conquistate e di impedire qualsiasi azione militare da parte dell’esercito congolese nelle zone amministrate dal gruppo ribelle. Di fronte all’incertezza dell’esito dei negoziati, l’accordo per un cessate il fuoco, seppur non privo d’interesse, presenta un tasso di pericolosità molto alto per la difesa del territorio congolese, in quanto sancirebbe un “riconoscimento” dell’autorità esercitata dai ribelli in alcune località della RDC. Il principio stesso di dover negoziare con i ribelli, che ha certificato tra l’altro, il fallimento dell’opzione militare con un esito agro dolce dell’opzione diplomatica, è portatore di contraddizioni. A seguito delle elezioni avvenute in RDC nel dicembre 2011, elezioni molto contestate, l’opposizione non armata aveva sollecitato l’organizzazione di un tavolo con il governo trovando quest’ultimo inflessibile sul rigetto della proposta. Quando la stessa richiesta viene avanzata dal gruppo ribelle, i tentennamenti iniziali si ammorbidiscono dando un messaggio equivoco: si può negoziare più con chi usa le armi che con chi usa solo le sue idee!
L’opposizione congolese non si sente affatto interessata ai negoziati che si svolgono a Kampala mettendo in discussione non soltanto il luogo dove si svolgono gli incontri, ma emettendo anche giustificate perplessità sull’oggetto dei negoziati. La maggior parte della popolazione congolese guarda con diffidenza l’evolversi, non rassicurante, dei negoziati. Fin qui, l’azione del M23 non sembra convincere i congolesi che rimangono del parere che dietro al gruppo ribelle si attivano le truppe dei paesi confinanti. Certo che la RDC ha i suoi problemi interni che deve risolvere dando anche più ascolto alle osservazioni dell’opposizione favorendo una buona “governance” a tutti i livelli e correggendo gli errori commessi durante le elezioni del dicembre 2011.
Se il governo congolese persiste nel circoscrivere l’oggetto del negoziato alla valutazione dell’applicazione dell’accordo concluso il 23 marzo 2009 dichiarando la sua indisponibilità a trattare questioni che esulano dal siffatto quadro, la propensione del M23 ad inserire nell’ordine del giorno questioni di natura “generale” pur non avendone la competenza, come la buona “governance”, il rispetto dei diritti dell’uomo, questioni attinenti all’economia, dimenticando nel cassetto le motivazioni sulle quali poggiava la sua nascita, ossia, l’applicazione dell’accordo del 23 marzo 2009, ci sono probabilità che i lavori di Kampala partoriscono un topolino. Il governo congolese non ha tenuto in questa vicenda una linea coerente: a volte individua nel Ruanda il principale motore della ribellione, a volte lo sdogana costretto ad accettare uno schema che fa comodo al paese indicato come la “mente”. A nostro modesto parere, un accordo potrebbe anche essere raggiunto a Kampala, ma se il Ruanda, l’Uganda e la RDC non riescono ad affrontare in modo costruttivo la questione della sicurezza nella regione, dei gruppi armati, della gestione delle risorse naturali, c’è il rischio che l’instabilità della Regione dei grandi laghi diventi cronica, cambiando solo gli interpreti e non i principali protagonisti.
Kazadi Mpiana Joseph Dottore di Ricerca in Diritto internazionale e dell’Unione europea all’università di Roma “La Sapienza”. E-mail: kazadimpiana@hotmail.com

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