Nulla di nuovo nella regione dei grandi laghi

di Joseph Kazadi Mpiana

Il 24 febbraio 2013, ad Addis-Abeba, è stato siglato dagli 11 Stati che costituiscono “convenzionalmente” la Regione dei grandi laghi (RDC, Repubblica centrafricana, Angola, Burundi, Congo, Ruanda, Sudafrica, Sudan del Sud, Uganda, Zambia, Tanzania) “l’Accordo-quadro per la pace , la sicurezza e la cooperazione per la Repubblica democratica del Congo e la Regione”.
L’accordo è stato patrocinato dalle Nazioni Unite e dall’Unione africana con l’ausilio della Conferenza internazionale per la Regione dei grandi laghi (CIRGL) e la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (SADC). L’Accordo-quadro trae le sue radici dal clima di insicurezza cronico che affligge la RDC nella parte Est-orientale, dovuto, da un lato, dall’attivismo dei vari gruppi armati in lotta con l’esercito regolare congolese e, dall'altro lato, dal ruolo di Ruanda e l’Uganda, che guardano sempre con apprensione e preoccupazione a ciò che accade nella RDC per le ricadute sur la loro sicurezza e stabilità interna.
Nel presente contributo ci proponiamo di analizzare globalmente il suddetto accordo-quadro prima di concludere che sul piano della pace duratura nella regione dei grandi laghi non sono stati affrontati e sciolti i principali nodi. Da questo punto di vista l’Accordo-quadro non costituisce nessun valore aggiunto. Esso si inserisce in un filone degli accordi bi o multilaterali siglati dalla RDC con il Ruanda (2002, 2007, 2008) e con l’Uganda (2002, 2007) o nell’ambito della Conferenza internazionale della regione dei grandi laghi che ha adottato nel dicembre 2006 il Patto per la sicurezza, la stabilità e lo sviluppo nella regione dei grandi laghi estesa a più di dieci paesi che non costituiscono geograficamente o naturalmente la regione interessata, ma l’intento essendo di favorire un approccio globale e multidimensionale nell’ambito più largo di protagonisti. I vari accordi ed impegni assunti si riassumono nella sostanza nel divieto di interferire nelle vicende altrui, di favorire la democrazia, la lotta ai gruppi armati, compreso il loro disarmo, il divieto di appoggiarli, la riconciliazione nazionale.
L’accordo-quadro del 24 febbraio 201, da questo punto di vista, non innova in quanto riprende impegni già assunti e disattesi da vari paesi della regione. La vicenda del movimento M23, appoggiato secondo fonti autorevoli delle Nazioni Unite, da due paesi limitrofi, ne costituisce una prova eloquente e secondo noi, si poteva partire da qui per affrontare la questione che non interessa direttamente tutti gli undici paesi firmatari del suddetto accordo, ma la trilogia “RDC-Uganda-Ruanda”. Occorre sottolineare che la RDC condivide le frontiere con nove Stati confinanti con i quali, almeno per sette di loro, intrattiene relazioni di vicinato pacifiche. Tuttavia è chiaro che per le sue dimensioni geo-strategiche, l’instabilità della RDC può produrre conseguenze devastanti anche in altri paesi della regione. Ciò non toglie che i principali protagonisti della situazione che prevale nella parte est-orientale della RDC rimangono i tre paesi della trilogia che abbiamo richiamati.
L’approccio dell’accordo ci sembra meno efficace in quanto pone un accento sulla dimensione “interna” del conflitto nella RDC trascurando la dimensione “esterna” che ci pare prevalente. Nella disamina dell’accordo gli impegni di rilievo verranno assunti dal governo congolese (rafforzamento della democrazia, accelerare le riforme nell’ambito dei servizi di sicurezza, della polizia, dell’esercito, delle infrastrutture e servizi di base; riforme strutturali delle istituzioni dello stato, ivi compreso il maggior decentramento politico; restaurare l’autorità dello Stato su tutto il territorio nazionale; promozione degli obiettivi per la riconciliazione nazionale etc.) mentre gli altri Stati dovrebbero sviluppare la cooperazione regionale sia nell’ambito dell’integrazione economica che dell’amministrazione della giustizia. Essi dovrebbero astenersi di fornire assistenza ai gruppi armati. Questi impegni risultano generici e contenuti in vari documenti sia nazionali (la costituzione della RDC e le diverse leggi) che regionali (L’Atto costitutivo dell’Unione africana, il Patto per la sicurezza, la stabilità e lo sviluppo nella regione dei grandi laghi). La Comunità internazionale, attraverso le Nazioni unite, le istituzioni finanziarie, la cooperazione bilaterale e multilaterale, si impegna ad accompagnare gli sforzi della RDC e della regione per realizzare gli scopi dell’Accordo-quadro.
La principale innovazione del suddetto Accordo attiene al meccanismo di “sorveglianza” che è stato istituito a due livelli: a livello nazionale spetterà al governo individuare la struttura incaricata della traduzione in atto delle riforme previste, a livello internazionale un meccanismo regionale per valutare i progressi compiuti e che comprende gli undici Stati firmatari con la garanzia delle Nazioni Unite, dell’Unione africana, della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe e la Conferenza internazionale dei grandi laghi. Anche se nel suo operato il meccanismo regionale sarà guidato dal principio di rispetto della sovranità degli Stati, è da chiedersi se non si tratta di un’ennesima “messa sotto tutela” della RDC come è avvenuto in passato con il “Comitato internazionale di accompagnamento della transizione” durante il periodo 2003-2006. Facendo la sintesi dell’Accordo-quadro, esso non risulta favorevole per la RDC in quanto non sono stati affrontati i nodi del clima di insicurezza che prevale all’Est del Congo. L’attenzione rivolta alla dimensione interna della crisi fa passare in secondo piano la dimensione esterna che ci sembra al momento più prevalente. Il fatto che l’Accordo-quadro non abbia fatto riferimento al gruppo M23 attesta ulteriormente le sue lacune o debolezze.

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