La soluzione per l'Ilva esiste. Ed è scritta negli articoli 42 e 43 della Costituzione


di Antonio Di Siena

Il problema ILVA deriva dalla apparente incompatibilità fra tre interessi diversi:

1) il diritto al lavoro di 10mila operai;

2) il diritto alla salute loro e dei cittadini di una intera città devastata dall’inquinamento;

3) l’interesse generale dello Stato a non privarsi di una materia prima essenziale come l’acciaio.

Tenere insieme le tre cose è una sfida gigantesca che il privato non può affrontare in modo efficace.

Perché qualunque privato sia pronto a gestire la più grande acciaieria d’Europa lo farà perseguendo esclusivamente la cosa che realmente gli interessa:

IL PROFITTO.


Infatti per poter ottenere alti ricavi il privato dovrà necessariamente contenere i costi.


E non potendo risparmiare sulla qualità del prodotto finito (se no uno lo compra da altri), inevitabilmente, finirà per gestire l’acciaieria contenendo i costi di gestione. Che significa scarsi (o zero) investimenti in sicurezza del lavoro e impatto ambientale.


Ragion per cui Arcelor-Mittal voleva l’immunità penale. Perché per un privato non è possibile gestire il siderurgico senza commettere reati contro la salute e contro l’ambiente.

Per questi motivi, per poter mantenere in piedi un’industria strategica per la nostra economia senza fare centinaia di morti, rendere irrespirabile l’aria di Taranto, inquinare il suo mare, rendere incoltivabili i terreni agricoli circostanti, o licenziare migliaia di lavoratori, è imprescindibile l’intervento attivo dello Stato.


L’unico attore realmente in grado di investire la montagna di denari che servono per:

- mettere in totale sicurezza l’intero ciclo produttivo;

- garantire occupazione e sicurezza del lavoro;

- rinunciare a lauti guadagni anche andando “in perdita” (almeno nel breve periodo);

- bonificare l’intero sito e le aree circostanti;

- ripensare urbanisticamente la città e la collocazione dei quartieri a ridosso del siderurgico.


Per tutte queste ragioni, per salvaguardare contemporaneamente la produzione, l’occupazione e la salute pubblica, l’unica strada realmente percorribile è la NAZIONALIZZAZIONE DELL’ILVA.


Diversamente il problema non si risolverà mai.


Non si può fare perché l’Ue lo impedisce?

Che si abbia il coraggio di mandare a fare in culo l’Unione europea, le sue regole, i suoi politici e i suoi banchieri.


Non si ha il coraggio di farlo?
E allora si dica chiaramente che il problema non lo si vuole risolvere, assumendosi la responsabilità politica di una fra queste due cose:


- chiudere definitivamente il sito. Che significa, a occhio e croce, mettere in mezzo alla strada 50mila persone;

- fare l’ennesimo regalo ai privati. Che continueranno a speculare sulla pelle dei cittadini di Taranto che vedono i loro figli morire di cancro.

Non è più il tempo dei teatrini, delle passerelle, delle proposte progettuali fantasiose, dei tavoli ministeriali di concertazione e di tutte le altre cazzate utili soltanto a non risolvere il problema.


La soluzione c’è.

E sta scritta agli articoli 42 e 43 di quella Costituzione sempre sbandierata ai quattro venti a convenienza, ma sistematicamente ignorata da una classe dirigente di pavidi, venduti, incapaci e collusi.

Agire o tacere. Non è difficile.

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