Non vi stanno solo insegnando un nuovo vocabolo. Vi stanno educando ad essere vacche indù

28 Aprile 2021 11:00 Antonio Di Siena

A proposito di resilienza: una parola segno dei tempi.
Resilienza è, per definizione, la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi. Una parola che, per estensione, ha assunto il significato di “capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà, recuperando l’equilibrio psicologico attraverso la mobilitazione delle risorse interiori e la riorganizzazione in chiave positiva della struttura della personalità” [Treccani].
In estrema sintesi, quindi, resilienza altro non è che l’equivalente del rassegnarsi senza dare di matto. Accettare supinamente la realtà come immutabile, limitandosi a lavorare su sé stessi affinché quella non influenzi troppo negativamente la propria vita.
Ora, siccome le nuove parole sono sempre espressione del pensiero dominante, è fuori di dubbio che uno dei termini più abusati ed emblematici della nostra modernità - quello con la maggiore capacità di farsi portatore dei valori del nostro tempo - incarni nient’altro che il più bagnato dei sogni del potere. La passiva remissività del popolo, principale attitudine dei servi.
La Resistenza, al contrario, rappresenta la vocazione al non accettare lo status quo. Non la capacità di adattamento, ma il netto, risoluto, rifiuto un determinato contesto che influisce negativamente non solo sulla propria vita di individuo, ma sull’intera collettività.
Se resilienza, quindi, è il piegarsi senza spezzarsi, resistenza è il suo opposto. Non piegarsi mai. Anche a costo di finire spezzati. Che è da sempre l’attitudine dei ribelli e del popolo che, anziché chinare il capo, si muove compatto e a testa alta lottando per la sua emancipazione.
Ecco perché resilienza è un termine che detesto visceralmente. Perché instilla inconsciamente nelle persone l’idea che il presente e i rapporti di forza non sono modificabili. Suggerendo loro quale dev’essere il comportamento più corretto per vivere dentro la società.
E non è certo un caso che la sinistra l’abbia fatta diventare un termine cardine del suo nuovo vocabolario, in sostituzione della ben più significativa “resistenza”. Parola abbandonata da tempo, salvo essere riesumata come un feticcio per nascondere il gigantesco tradimento di cui la sinistra si è macchiata.
Ragion per cui riappropriarsi delle parole non è soltanto un esercizio fine a sé stesso.
Scansate come la peste non solo il ricorso alla parola “resilienza”, ma soprattutto chi ne fa uso. Specialmente in politica.
Non vi stanno semplicemente insegnando un nuovo vocabolo. Vi stanno educando ad essere calmi come vacche indù. Mentre vi accompagnano al macello.

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