Coronavirus, il cinismo del liberismo e l'interesse generale


Di Paolo Desogus

Non posso negare di aver tenuto verso il coronavirus un tutto sommato atteggiamento scettico e forse anche superficiale, sebbene ne sapessi poco. Le ragioni erano dovute più che altro al modo in cui la stampa ha inizialmente presentato il fenomeno, servendosi del solito canovaccio della paura e della spettacolarizzazione. Vi ricordate le prime pagine di Libero, "Prove tecniche di strage"? O l'ossessivo conteggio dei decessi e dei malati lanciato da Repubblica? O ancora gli approfondimenti televisivi in cui tra gli esperti venivano chiamati Fabio Volo e Cacciari? Non posso negarlo: facevo, e tuttora faccio, davvero fatica a raccapezzarmi tra il sensazionalismo, l'esasperazione emotiva e l'assenza di professionalità giornalistica.


Al di là del dibattito dei primi giorni, mi pare però che oramai sia indubbia la gravità del fenomeno, sebbene in modi e termini molto diversi da quelli raccontati dai giornali. Il coronavirus è pericoloso perché è un virus sconosciuto, che muta rapidamente e dal comportamento imprevedibile. Inoltre, per quanto in molti casi possa manifestarsi in forma lieve o possa addirittura essere asintomatico, il suo pericolo dipende dal fatto che richiede sforzi di gestione sanitaria molto, molto grandi e in ogni caso superiori alla capacità del sistema sanitario nazionale. Se la stampa ci avesse detto questo, invece di descriverci prima l'epidemia in termini apocalittici e poi in termini semplicistici, forse avremmo avuto da subito un'idea più chiara di quello che accadeva.


C'è da dire che il governo, verso il quale nutro davvero poca simpatia, nonostante le sue grandi contraddizioni, ha tentato di dare la misura del fenomeno. Anche ieri Conte mi pare che si sia espresso in modo equilibrato, senza allarmismi, ma con l'idea che il fenomeno debba essere contrastato senza esitazioni. Nonostante il numero crescente dei morti e dei malati, ci tocca tuttavia sopportare i discorsi penosi di chi invece la sa lunga e propone di non fare nulla, di lasciare che la malattia faccia il suo corso. A sostegno di questa tesi vi è anzitutto il solito cinismo economicistico della destra liberale, onnipresente in tv, e di qualche sprovveduto di sinistra che crede di essere più furbo e credibile se dice cose di destra. Vi è poi una certa letteratura o comunque una manipolazione di questa letteratura reperibile su internet. Del resto lo sappiamo, oggi per avere ragione su qualsiasi argomento con qualsiasi tesi, basta fare una ricerca su google e in pochi minuti si è in grado di trovare lo specialista americano, lo studiosi finlandese, il luminare della Papua Nuova Guinea in grado di dare conforto ai nostri argomenti.

Di fronte a questo atteggiamento molto, troppo italiano di fuga dalla realtà e dalla responsabilità credo che occorra un sano realismo. Come ammettono gli stessi studiosi, chiudere scuole e università ha un effetto limitato, che quantomeno aiuta a ritardare l'espansione del virus e a ridurre la portata del contagio. Un'epidemia del genere può essere gestita solo con realismo, senza allarmismi, senza sparate sciocche e tutto sommato motivate dal solito individualismo italico. Quello che deve prevalere è insomma l'interesse generale, rapportato alle forze e alle capacità dei mezzi di cui dispone il paese.

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