Le vittime sacrificali di una società fintamente pacifista e democratica

di Massimiliano Esposito

Una buona parte dei “non ricchi” in Campania, risiedono vicino a discariche, campi rom, e roghi tossici.

Per spiegare le mappature delle città quali Caserta e Napoli, ma soprattutto della loro periferia e provincia, e del loro ambiente antropizzato, non dovremmo scomodare neanche il Teorema di Christaller. Ma in diversi approcci alla materia, per chi non è pratico di geografia economica e le sue molteplici diramazioni, sembrerebbe che le costanti e fattori preponderanti, siano sempre gli stessi. Le teorie di riferimento legate alla localizzazione di gerarchie urbane, nella loro logica deduttiva, funzionale ed assolutamente non casuale, non fanno rivisitare quegli studi di metà Novecento, ma evidenziano nuove realtà.

Nell’interpretazione dei sistemi urbani, la presenza di campi rom, di discariche o strutture legate al trattamento di rifiuti, legali e illegali, roghi tossici recensiti e mappati, siano collocate quasi sempre in zone periferiche o di provincia. In quartieri dormitorio, denuclearizzati della loro pseudo agorà, sostituito dalla piazzetta del centro commerciale iperglobalista.

Le stesse zone in cui c’è una fortissima presenza macro e microcriminale, una scarsa diramazione istituzionale e di infrastrutture. Nelle scelte di insediamento urbano, sembrerebbe come gettare acqua sul fuoco, ma invece la tendenza direzionale sembra sempre lo stesso. I nuclei più benestanti si pongono agli antipodi di queste realtà, vivendo a ridosso del centro oppure nelle immediate vicinanze, in zone residenziali costruite ad hoc.

Paradossalmente nei territori ad alto impatto ambientale, dove i vari istituti di ricerca, privati e statali, evidenziano incrementi di malattie oncologiche di centinaia di volte superiori alla media, vanno a vivere giovani o coppie che hanno salari medio/bassi. Per i costi molto contenuti degli appartamenti, in località di dubbia salubrità ambientale e non solo. Si stanno costruendo così una sorta di insediamenti nocivi, in base al censo, che non rappresentano neanche una proiezione abitativa in base alla classe sociale, bensì la conseguenza della sua atomizzazione. Anche l’illuminato Tyler Durden in Fight Club, rifiutando una società degenerata totalmente legata ai consumi di massa indotti, che non lo accetta, và a vivere in uno stabile abbandonato vicino ai toxic waste.

Ah, le anglofonie. Per farlo diventare, poi, il suo quartier generale e sviluppare un progetto per sovvertire le fondamenta di quella società così profondamente iniqua. Invece il popolo atomizzato del centro commerciale, delle discariche e dei campi rom è svuotato sia di un’identità di classe, che di comunità. Difficilmente ha un territorio in cui si identifica nella sua sradicata interconnessione identitaria, né luoghi pubblici in cui incontrarsi che rappresentano storia e cultura degli avi. Non ci sono intellettuali o correnti culturali che coinvolgono e raccolgono i pensieri collettivi, cementificandoli.

Questa precarietà degli individui e dello spirito, voluta ed indotta, ha creato una zona pestilente ed oscura delle città. Dove si confonde male e bene, solidarietà e finto buonismo, strumentale ai potenti. Mercificazione di questa atomizzazione della non identità. Funzionali al sistema e perfette vittime sacrificali di una società solo di facciata pacifica, pacifista, democratica e solidale, ma che nelle ombre nelle periferie proietta tutte le contraddizioni della sua versatile e feroce, anima nera.

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