Gaza, la tregua non è la pace

di Vincenzo Brandi

Alle 2,00 di oggi 21 maggio è stata raggiunta, con la mediazione dell’Egitto, una tregua tra le milizie di Hamas e l’esercito israeliano.

Tuttavia, questo non significa affatto una pace giusta e duratura tra Palestinesi e governo israeliano. Una pace duratura può essere raggiunta solo se c’è giustizia tra i contendenti; altrimenti nuove crisi, rivolte, scontri armati si ripresenteranno inevitabilmente.

La maggior parte dei nostri giornalisti, giornali e TV, che ricostruiscono quello che è avvenuto negli ultimi giorni, parlano solo di singoli episodi come lo sfratto delle famiglie palestinesi da Gerusalemme Est, gli scontri alla spianata delle moschee e nella moschea Al-Aksa provocati dalle cariche dei soldati israeliani, il lancio di razzi da Gaza ed i bombardamenti israeliani. Tutte le analisi e le ricostruzioni non parlano delle cause profonde e storiche del conflitto, o gettano la colpa su Hamas come, ad esempio, nella cosiddetta “analisi” del pseudo-filosofo Henri Bernard-Levy su Repubblica che è in realtà un attacco settario e forsennato alla causa palestinese.

Una lettera di protesta con molte firme è stata inviata a Repubblica, mentre oggi si è svolta una combattiva manifestazione sotto la RAI per protestare per il modo ipocrita e manipolatorio con cui vengono date le notizie, ed il silenzio sulle numerose manifestazioni a sostegno della causa palestinese e sulle vere cause del conflitto.

Queste cause profonde si possono sintetizzare essenzialmente nella volontà dell’ala più fondamentalista del movimento di colonizzazione ebraico in Palestina di cacciare dalle loro case e dalle loro terre il maggior numero possibile delle famiglie palestinesi per impossessarsi di tutta la terra. Centinaia di migliaia di Palestinesi furono cacciati nel 1948-49 e costretti a vivere come profughi in Libano o in Siria, o in Giordania, o nella piccola striscia di Gaza.

La Risoluzione 194/48 dell’ONU che affermava il diritto dei Palestinesi di poter tornare alle loro case ed essere anche risarciti per i danni subiti non è stata mai applicata da Israele.

Con la guerra del 1967 anche quello scarso 22% di terra rimasta nelle mani palestinesi è stato occupato militarmente o ghettizzato dai governi israeliani che si sono sempre rifiutati di applicare le Risoluzioni dell’ONU che chiedevano ad Israele il ritiro delle aree sotto occupazione militare. Invece i governi israeliani hanno fatto affluire nelle zone occupate militarmente centinaia di migliaia di coloni; hanno continuato la politica di espropri di terre, case, pozzi d’acqua, e la sistematica distruzione degli uliveti per costringere i contadini ad andarsene. Infine, è stata annessa unilateralmente allo stato ebraico anche la parte Est di Gerusalemme abitata da Arabi, che oggi non sono cittadini di nessuno stato e non godono dei diritti civili di cittadinanza.

Il fatto che Israele non abbia mai rispettato alcuna risoluzione dell’Onu è sempre passata sotto silenzio e non ha portato ad alcuna sanzione. Figuriamoci se le stesse cose fossero state fatte da Saddam, Gheddafi, o Assad. Si sarebbe scatenato l’inferno! I primi due sono stati uccisi per molto meno sulla base di falsità palesi; il terzo ha dovuto affrontare una guerra devastante organizzata da potenze straniere.

I pochi intellettuali e democratici ebrei che si pronunciano su questi avvenimenti (purtroppo una minoranza) sono ben consci della situazione. Mi riferisco a Moni Ovadia intervistato da RAI-News24 da una delle poche giornaliste dimostratesi coraggiose, Emanuela Bonchino, che ha definito il governo Netanyahu “un governo assetato di sangue arabo”. Mi riferisco allo storico israeliano Pappe con il suo libro su “La pulizia etnica della Palestina” e all’editorialista del giornale israeliano Haaretz Gideon Levi, sempre chiaro e lucido nelle sue analisi.

Tempo fa in Israele incontrai l’intellettuale Warsawski, figlio di un rabbino polacco, estremamente critico verso la politica israeliana. In Italia esiste anche un’associazione di Ebrei democratici: “Ebrei contro l’occupazione”.

Purtroppo, le trattative portate avanti per 20 anni dopo gli accordi di Oslo tra Israeliani e Palestinesi sono fallite, evidenziando la non-volontà di Israele di permettere quanto meno la nascita di un mini-stato

palestinese indipendente sui territori conquistati nel 1967, con Gerusalemme Est come capitale. Bisogna essere pessimisti sul futuro, sperando solo che la situazione internazionale si evolva e permetta il riconoscimento dei diritti più elementari del popolo palestinese.

Roma, 21 maggio 2021

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